Era notte ed il cavallo aveva deciso di andare ad un passo tranquillo, dato che le redini erano allentate e la mano che lo guidava appoggiata stancamente al pomo della sella di cuoio usurato. Dalla loro postazione leggermente sopraelevata cavallo e cavaliere potevano osservare la città che si estendeva ai loro piedi: avvolta dalle tenebre, con le luci che sembravano tante piccole fate luccicanti immerse nel vuoto della notte. Le porte non erano chiuse, e alcune persone stavano passando prima che le chiudessero. In fondo era una giornata di festa, per quella città immersa nel verde delle colline. Dimenticata da tutti tranne che dai Leari e dai pochi passanti. I primi perché volevano razziarla e depredarla, i secondi perché volevano sfruttarne le comodità prima di intraprendere la strada della montagna delle Nebbie. Improvvisamente il cavallo si fermò, nervoso, ed il suo compagno parve riscuotersi dal suo torpore meditativo per guardarsi attorno, allerta come sempre ogni volta che si presentava un cambiamento della situazione. Una mano scivolò verso l'elsa della spada, ben allacciata al fianco, ma prima che potesse serrarvi contro le dita affusolate da spadaccino rimase letteralmente a bocca aperta. Il cielo si era illuminato per un istante di una brillante luce verde, ed un fragore sibilante aveva distrutto la quiete della serata. Sul viso del cavaliere si formò qualcosa che raramente si vedeva, paragonabile alla bellezza di quei fuochi d'artificio. Un sorriso. Un altro, ed un altro ancora. Viola, poi rosso. Si aprivano come fiori davanti a lui, che come paralizzato poteva solo osservarli, ammirato. Non ne vedeva dalla sua infanzia, da quando aveva abbandonato la casa dei genitori con mille speranze e la determinazione di un ariete a buttar giù la porta. Ora non aveva più nulla di tutto questo, e gli rimanevano solo i fuochi, a chiamarlo con i loro colori brillanti. Il cavallo sbuffò, nervoso, e l'uomo scese senza guardare, tenendolo per la briglia e calmandolo con qualche rabbonita parola di conforto, smorzate a causa dei botti violenti che sembravano far impazzire la sua cavalcatura. Rosso. Che si spandeva su un telo notturno quasi nero, che copriva le stelle vitali e luminose, oscurandole con la sua potenza. Come il sangue sulla tunica dei nemici. Il Verde subito dopo, latore di speranza, che andava ad amalgamarsi con gli ultimi residui di Rosso, che andava a giocare con loro, a provocarli fino a vederli sparire in un'ultima cascata. Come il sorriso di una madre, speranzoso, nel veder tornare il figlio. Sperando che sia l'ultima volta. E poi il Blu, che sfida la notte con la sua lucentezza, in una fila ininterrotta tale da lasciare commosso chiunque, tranne forse il cavallo terrorizzato al fianco dell'uomo, che ormai stava piangendo. Il ricordo di quello stesso blu, che lo aveva salutato prima della partenza. Ed infine, alti nel cielo, i miscugli di colori e suoni che segnavano la fine dello spettacolo pirotecnico, quell'ammasso di sentimenti che si spera sempre non abbia mai fine. E poi i rintocchi finali. Uno. Due. Tre. Commenta questo racconto |