L'ultimo volo di Derfel
di Stefano Romagna

Quando Derfel l'Amazzademoni arrivò in cima al monte Erb, pensò di non essersi mai stancato tanto in vita sua. Era riuscito a scappare al nemico per un soffio, camuffandosi con la grazia e maestria che solo lui sembrava conoscere. Scrutò il paesaggio che, tenebroso pinnacolo, pareva prostrarsi al suo cospetto in pacato sussiego. Erano stati giorni duri, quelli dopo le battaglie di Mengholl-Irb. Il dolore pulsava ancora forte come il sangue nelle vene e le cicatrici sulla pelle. Pur non avendo fallito, era pienamente consapevole che ancora molto andava fatto per porre fine al dominio oscuro.
Ma da quell'angolo di mondo incomparabilmente più alto, riusciva finalmente a vedere tutto nella giusta prospettiva. Adesso sapeva come agire. Ebbe una fitta al cuore. La maledizione cominciava a fare effetto, e non gli sarebbe rimasto molto tempo. Sentiva il veleno appropriarsi delle membra senza il minimo ritegno.
I pensieri indugiarono su Kora, che nei recessi della sua mente cavalcava libera, inondata dai raggi dell'arco d'argento, cristallizzata in un ricordo lontano, ma non per questo meno prezioso o dimenticato.
Se li teneva stretti, quegli sprazzi d'esistenza, poichè null'altro gli era rimasto.
Steli d'erba in pugno, così sottili, così sfuggenti. Lo colpì un'altra fitta. Barcollò per un istante, poi si volse deciso a metter fine alla questione. Il terreno sfrigolò sotto i suoi passi, quando raggiunse il culmine del costone roccioso. Ogni angolo di Namaeria sembrava farsi piccolo, da quell'altezza, mentre il gelido vento del Nord si sfogava in violente sferzate.
Il bosco di Toradir riluceva di verde oscurità da leghe di distanza. Era come un faro malefico, un canto delle sirene dalla mortale efficacia. Ma era la sua meta, e non vi era modo d'atterrarvi se non in volo, poichè le fronde degli alberi all'apparenza così placide erano invece custodi di un terribile incantesimo. Derfel esitò, pur sapendo da eoni che quei momenti sarebbero arrivati. Indietreggiò, e nel momento più fragile di tutti, lo colse la paura. Tremava visibilmente, pensando a ciò che lo aspettava. Streghe, spettri, e quant'altro partorito da quell'inferno. Abomini da sradicare che nulla avevano a che fare con ciò che aveva già combattuto.
E poi la sentì, la voce nella sua testa. Sussurrava, con le parvenze di un usignolo, che tutto sarebbe andato bene. La donna che amava era lì con lui, nell'attimo che avrebbe decretato il successo o il fallimento. Ne sentì il profumo, l'odore, persino lo sguardo. Riprese coraggio, pronto per la resa dei conti.
Si mise a correre, rendendo inquieta la spada tintinnante che giaceva nel fodero allacciato al fianco. Con un balzo si gettò nel vuoto, e la caduta fu da mozzare il fiato. Precipitò, velocissimo, fondendosi in un tutt'uno con le nuvole dell'aurora. Un attimo dopo riemerse dal candore, con le ali spiegate che rilucevano come membrane ai raggi del primo mattino, in un universo di sfumature. E dalla cima del monte Erb, ormai lontana, lo si poteva quasi veder sorridere, poichè il suo ultimo, lussureggiante volo non gli era mai parso tanto bello.

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