L'avvento della Dea
di Claudio Giubrone

"Correte! Mancate solo voi!"
Tutti noi accorremmo al richiamo del fauno, che si propagò per miglia chiamando al raduno gli abitanti del bosco. Mentre correvo assieme ai miei amici gnomi e folletti, mi guardavo attorno, cercando di non inciampare o di sbattere contro un albero. Le fate, le ninfe, gli elfi e gli animali correvano con noi, affannandosi per non arrivare in ritardo. Nei nostri volti si potevano scorgere, chiare come l'acqua, la gioia e l'impazienza, miste al timore di perdersi un solo attimo, un solo particolare dell'evento che avveniva circa ogni millennio. Nessuno di noi aveva sospettato che sarebbe avvenuto quella notte; nulla, nella volta celeste o nel vento che agita gli alberi, aveva dato sentore di quello che sarebbe accaduto. Davanti a noi scorgemmo il fauno che ogni notte attendeva il segnale per chiamare l'adunata, e che si era addentrato nel bosco, incapace di aspettare ulteriormente il nostro arrivo.
"Sicuro che ci siamo?"
"Come potrei sbagliarmi? Farei tanto baccano altrimenti?"
Le sue parole mi rassicurarono. Sapeva benissimo quanto questo momento fosse importante per tutti noi.
Non poteva essersi sbagliato!
Giungemmo al lago sacro, dove in molti erano già arrivati e si chiedevano cosa fare.
Gli anziani, che vi avevano già assistito, guardavano in alto nel cielo, in trepida attesa, e io decisi di seguirne l'esempio.
Sospeso a molti metri d'altezza vi era un grande, grossolano, bacile di pietra.
Da una fessura usciva del liquido denso, simile a latte luminoso, che colava fluidamente dentro un altro bacile, posto a lato di esso. Da qui arrivava ad un altro, posto al lato opposto rispetto al primo, e, infine, dentro a un altro ancora, dal quale, tramite un'apertura sul fondo, arrivava finalmente al lago luminoso sotto di esso.
Sovrastante questo scivolo splendente, vi era un gigantesco uovo di terra, avvolto da rampicanti fioriti. Da delle fenditure uscivano dei raggi,emessi da una debole luce pulsante al suo interno. I leprecauni iniziarono a suonare le loro cornamuse, accompagnando il coro solenne delle fate che invocavano l'avvento. La melodia e il canto parevano fondersi in qualcosa d'indescrivibile: un'invocazione alta e potente, ma anche dolce e rilassante come la ninnananna di una mamma. La luce cominciò a pulsare con maggiore intensità, finché l'uovo si aprì. Da esso ne uscirono un liquido verdognolo, che evaporò e venne disperso dal vento, e un bebè. Questi cadde nel primo bacile, e, mentre scivolava da uno all'altro, iniziò a crescere, divenendo una bambina, una ragazza, e, una volta caduta nel lago, una donna.
Venni spinta ad accoglierla, come rappresentante di tutto il mondo.
Mentre si avvicinava alla riva, camminando sulla superficie immobile del lago, provavo timore per la sua natura, ma anche attrazione, reverenza, per la chioma blu, gli occhi verdi e il suo corpo ignudo, splendente più del sole.
Mi abbracciò, e, sussurrando con la suo calda voce, pronunciò parole di monito e speranza, che tramandammo per un altro millennio.
"Io sono il mondo! Sono la luce! Sono la vita!"
"Non dimenticate!"

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