Un ultimo desiderio
di Claudio Giubrone
L'"Ave Maria" di Shubert risuonava triste e malinconica all'interno della chiesa, quando prese coscienza di trovarsi lì. Davanti a lui c'erano molte persone piangenti che seguivano il sermone del prete. Erano tutti vestiti di nero. Tutti piangevano e si sostenevano l'uno con l'altro in preda al dolore comune. In prima fila, un uomo e una donna sembravano soffrire più di tutti. I singhiozzi di lei, così stanca di piangere, ma ancora piena di disperazione, erano come lame infuocate che lo trafiggevano. Anche se cercava di distogliere lo sguardo, le urla, i pianti, le lacrime e il dolore lo ghermivano in una morsa che non lasciava scampo. Toccandosi una guancia sentì il freddo tocco di una lacrima. Poi, la vide. Posta sopra una bara, c'era la sua foto. Ricordò dell'incidente stradale in cui aveva perso la vita; il desiderio di vedere per l'ultima volta i suoi, di vivere solo un altro po'. Alla prima lacrima ne seguì un'altra; poi un'altra ancora, finché il viso non venne solcato da due fiumi salati in piena. Il tempo sembrava non passare mai, come cristallizzato eternamente in quell'attimo, che pareva racchiudere il dolore del mondo intero.
"Questo è il mio funerale!" urlò nella sua testa, rompendo il rumoroso silenzio del dolore.
Si sedette sul freddo pavimento della chiesa, divenuta, in quel giorno di lutto, sepolcro di morte e monumento del dolore e della sofferenza. Il dolore, traboccante dai suoi occhi, non finiva mai; continuava a riempirlo, come se volesse saziarlo per l'eternità.
Intorpidito da esso, rimase immobile, da solo, senza fare null'altro che soffrire.
Non riusciva a farsi avanti e dire: "Mamma! Papà!... Sono io. Sono vostro figlio! Sono vivo!"
No! Non riusciva a far altro che restare seduto e piangere. Rimase lì, immobile per chissà quanto tempo. Senza che se ne accorgesse, le persone iniziarono ad uscire dalla chiesa. Nessuno si accorse della sua presenza. Anche se era il loro caro, nessuno lo considerò. Anche i suoi, sorretti dal alcuni, gli passarono accanto senza degnarlo di uno sguardo. Protese la mano verso di loro, cercando di parlare, ma il braccio si bloccò a metà e dalla bocca non uscì altro che un verso rauco.
Era inchiodato a terra! Anche se tutti se ne erano andati e la chiesa era stata chiusa, non riuscì ad alzarsi e andarsene. Del resto, dove sarebbe potuto andare? Per la sua famiglia non esisteva. Era un fantasma! Che vita doveva mai avere un fantasma? Se anche fosse riuscito a farsi vedere, cosa avrebbe detto? Cosa avrebbe fatto in seguito? Allora, urlò! Urlò al cielo. Urlò a Dio. Urlò a chiunque potesse aiutarlo, ma non lo faceva… Aveva desiderato di vedere i suoi genitori un'altra volta, ma quel desiderio esaudito fu una pena più grande della morte.
I suoi lamenti di disperazione inondarono la chiesa, facendone vibrare le vetrate, per tutta la notte.
Infine, all'alba se ne andò, lasciando che parte del suo dolore impregnasse quelle fredde mura; lasciando la sua famiglia e la sua vita.
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