Il riscatto del cantore
di Daniel Oren

Una nera figura avanzava lentamente, con passo deciso procedeva nell'oscurità notturna di quell'antico cimitero. Ogni rumore era ovattato dalla densa foschia che lentamente saliva dal terreno, nascondendo alla vista le fredde ed anonime cripte che sorvegliavano quel luogo. Solo l'eco delle urla dei morti riusciva a sferzare le orecchie dell'uomo che imperterrito continuava verso la sua meta.
Lo straniero guardò il cielo coperto da dense nubi, si fermò e nell'oscurità attese… Infine la luna spuntò. Ispezionò il terreno in cerca di un segno, lo vide, era là. La luna riflessa in un piccolo specchio d'acqua: "Il pozzo delle anime! L'ho trovato!" disse tra sé e sé, sorridendo. In pochi balzi lo raggiunse e lo studiò attentamente. Passandosi l'irrequieta mano tra i lunghi capelli castani scostò la scura cappa che gli copriva il volto; ripensò alle parole che l'indovino cieco gli aveva detto, poi di colpo si fermò, illuminato dal ricordo estrasse dal fodero lo stiletto e sussurrando una parola arcana lo trasformò in un piccolo flauto. Una melodia dolce e nebbiosa risuonò per le antiche tombe, talmente soave per quel luogo che gli animali, le piante e persino le pietre si fermarono, ma questo all'uomo non importava, era totalmente concentrato sul pozzo e sull'immagine che cercava.
"Non guardare le figure" si ripeté "Metti a fuoco i confini delle forme senza sfondo". Passò altro tempo, infinito, ma finalmente la scorse, per un attimo soltanto vide affiorare la sua immagine, talmente breve e fugace che rimase scolpita in un battito del cuore. Poi percepì la sua presenza che gli parlava, era lei, non c'erano dubbi. Non sentiva le parole, era come se la voce provenisse dall' angolo di un sogno, una voce senza corpo che sgorgava dal regno delle ombre. L'uomo deglutì, aveva in bocca il sapore della notte, ma non era quello il momento per paure od esitazioni; la melodia del tempo stava per finire il suo effetto, quello era il momento di agire. Con un gesto fulmineo sfoderò la spada lunga che aveva al fianco e mentre il flauto tornava ad essere uno stiletto, saltò all'interno del pozzo. La forza del salto non era stata sufficientemente forte da rompere lo specchio d'acqua cristallizzata nel tempo, quindi cominciò a scalfirlo con veloci fendenti, finché non lo indebolì abbastanza da ritentare un altro salto. Questa volta atterrò col ginocchio, infrangendo l'acqua e tuffandosi in mezzo a quel mare di ombre e spiriti.
Guardò sopra di sé, "Appena in tempo" pensò, "Le sabbie di Crono hanno già ricominciato a scorrere e i pezzi infranti sono tornati acqua". Il pensiero però fu interrotto, qualcosa lo trascinava giù, nell'oscurità. Cercò di aggrapparsi a qualcosa ma prima che potesse sbattere le palpebre una luce infuocata lo avvolse completamente. Si ritrovò su un promontorio, intontito, all'orizzonte solo rocce, sabbia e un fiume, l'enorme fiume senza sponde che gli era stato detto di seguire. Sguainate entrambe le lame cominciò a scendere giù dal costone; era determinato, era calmo, era tranquillo. "E questa volta non mi guarderò in dietro!"

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