Otzi
di Marco Moglia

Guardai le vette imbiancate con la malinconia nel cuore. Non provavo più dolore e il freddo pungente sferzato dal vento aveva irrigidito quasi del tutto il mio corpo, sembravo una roccia come le altre, tranne per i disegni sulla pelle.
Pensai alla mia casa nella pianura, al mio villaggio e alla mia amata Brun e sorrisi, convinto che a breve l'avrei rivista.
Ah, che notte era stata quella! Dopo settimane di inseguimento avevo raggiunto il gruppo di predoni che sterminarono la mia gente durante la mia assenza. Aspettai la notte per attaccarli, venti uomini e donne di stirpe nomade, assassini senza pietà che uccidevano solo per il gusto del sangue.
Un tempo ero famoso come cacciatore, ancora sentivo la forza nelle braccia nonostante i miei quarantasei inverni. Sgozzai la prima vedetta senza produrre suono, poi mi lanciai tra due uomini intorno al fuoco roteando l'ascia di rame e spaccai il cranio di uno affondando il coltello di selce quasi contemporaneamente nel petto dell'uomo di fianco.
Corsi tra i guerrieri addormentati verso la tenda del capo colpendo chi cercava di alzarsi da terra, poi vi giunsi come una furia e lo trovai accanto alla sua donna. Il capo cercò la sua ascia accanto al giaciglio ma la mia lama fu più lesta e gli mozzai l'arto all'altezza del gomito.
La donna urlò e provò a cavarmi gli occhi con le unghie: gli affondai il coltello in un'orbita trapassando il cervello. Per un istante incrociai lo sguardo interrogativo del predone, poi calai la scure sul suo volto urlando il nome di Brun.
Fuggendo nel buio sentii una freccia piantarsi sulla schiena e parai un'affondo con la mano che zampillò di sangue, poi mi dileguai tra le rocce. La mia azione durò solo pochi istanti ma fu devastante, la vendetta era compiuta.
Una feroce soddisfazione mi pervase e mi fece correre per tutta la notte nonostante le ferite.
La mattina ripensando a quegli avvenimenti seduto su un masso vidi la tempesta avvicinarsi e chiusi gli occhi. Udii come il suono di un ramo spezzarsi e quando riaprii gli occhi vidi il mio cadavere riverso sulla neve.
Non ero triste, ma non capivo perché la mia anima fosse ancora in quel luogo. Vidi il corpo seccarsi col vento, la neve ricoprirlo per mesi, anni, il tempo non significava nulla, ma io ero sempre lì.
Poi mi ricordai delle parole dello sciamano che aveva dipinto la mia pelle: - Quando i simboli sacri si saranno staccati dalle ossa insieme alla pelle, la tua anima potrà andarsene e guai a chi cercherà di fermarla -.
Passarono i millenni, poi un giorno i ghiacci si ritirarono e una coppia trovò la mia mummia. Invece di seppellirmi o bruciarmi fui conservato come una reliquia, mi chiamarono Ötzi e mi studiarono.
Loro non conoscono la maledizione dello sciamano e molti di loro sono già morti per questa ragione.
Aspetto ancora il giorno in cui potrò ricongiungermi con la mia amata, ma non ho fretta, l'eternità è mia alleata.

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