La partenza di Famir
di Andrea Schiraldi

Nella Valle del Lar, le stelle illuminavano le ripide pendici della grande montagna. Dentro l'ampia caverna, nell'aria satura di fumi sulfurei, la schiena curva su un'ampia roccia, un lungo stilo, stretto nel pugno, Famir vergava incerte parole, nella tremula luce dei fuochi.
Il mio compagno, Kares, è stato massacrato senza pietà, colpevole, come me, di essere diverso e di essersi presentato a Re Ban per chiedere che ci venisse concessa una vita tranquilla. Ma, forse, per chi è come noi non esiste un'esistenza pacifica; vane leggende e falsi miti ci hanno resi diversi, ricercati ed ambiti trofei: il nostro cuore per dare coraggio, le nostre ossa per pozioni d'amore, i nostri denti per donare ferocia, la nostra pelle per proteggersi dal ferro. Stolte creature, gli uomini, che per destare ciò che è proprio della loro natura, uccidono chi non è come loro! Dicono che siamo mostri, perché siamo diversi, incolpano noi dei disastri che non riescono a spiegare, ma non si domandano come sembrano ai nostri occhi, quando ci circondano e ci aggrediscono, tra grida selvagge, vestiti di armature lucenti che, al sole, feriscono lo sguardo con i loro riflessi!
Fortunatamente Natura ha donato loro una vita breve, per limitare la loro arroganza ed il grande male che possono compiere, ma sono tanti, troppi e, per noi, non c'è più posto! Quando abbiamo iniziato a difenderci, il loro accanimento è cresciuto! Ogni giorno uno di noi non faceva più ritorno; cavalieri e mercenari ci inseguivano, ci tendevano agguati. Cercare cibo poteva significare la morte! Siamo diventati prudenti, schivi, ma è difficile non lasciare tracce per chi è come noi. Del mio popolo, oramai, resto unicamente io.
Un'improvvisa contrazione costrinse Famir a posare lo stilo ed a sfiorarsi l'addome, sempre più spesso dolente.
Lascio questo scritto perché si sappia ciò che è stato di noi. Sì, sappiamo anche scrivere e parlare, sappiamo molte altre cose che, in una vita tanto lunga, abbiamo imparato e tramandato, generazione dopo generazione, ma la paura, unicamente umana, del diverso non ci ha permesso di condividere il nostro sapere.
Kares diceva che oltre il mare d'Oriente esiste una terra sconosciuta. Partirò stanotte, seguirò le stelle che indicano ogni strada, a chi le sa osservare ed ascoltare, e troverò la terra di Kares: lì, forse, otterremo la tranquillità che, per secoli, abbiamo cercato. È giunto l'inverno e gli uomini del Lar escono di rado dalle loro case: devo approfittarne.
Smise di scrivere, si toccò ancora il ventre prominente, lasciando vagare lo sguardo sulle alte colonne di roccia che sorreggevano la volta della grande caverna.
Famir uscì dall'antro, guardò le stelle brillanti e distese le grandi ali membranose. Volò per molti giorni e superò il mare d'Oriente. Oltre l'acqua, trovò una piccola isola che le offrì un rifugio sicuro e le permise di deporre le uova che custodiva nel grembo. Fu così che Famir, l'ultimo drago, scomparve dal mondo degli uomini. Su quell'isola crebbe i suoi piccoli e diede un futuro al suo popolo…ma questa è un'altra storia.

Commenta questo racconto