Il Guerriero d'Avorio e Ambra
di Francesco Coppola

Sotto la cortina di pioggia la città di roccia immersa nella foresta crepitava sommessa. Il Lungo Autunno era giunto a spazzare via il calore febbricitante della Grande Primavera e l'aria si addensava, divenendo corposa, spessa, pronta per i venti dell'est, che avrebbero svelato un cielo nuovo, aperto al sole ma anche a Coloro che Furono. Accadeva ogni anno, sempre così, nelle foreste degli Alphar, fra una Grande Primavera e un Lungo Autunno.
Era sempre stata definita una terra felice, la loro, ma questa volta gli sciamani avrebbero intonato un canto diverso, per la Festa delle Porte, un canto antico e crudele.
C'era guerra a sud, portata dagli umani, armati contro la Pianta dell'Esistenza, impegnati a disboscare, scavare, deturpare, depravare, distruggere. Il vecchio uomo-albero non riusciva più a contenerli e soccombeva sotto l'umana furia. Lungo l'intera foresta lo stormire delle fronde piangeva l'immane strage e, fra le radici, scorreva un rivo montante d'ira.
No, quell'anno gli sciamani avrebbero cantato un'altra tradizione e agli Spiriti degli Antenati avrebbero chiesto (nuovamente dopo innumere generazioni) l'arrivo fra loro del Guerriero d'Avorio e Ambra - spezza ossa e spilla sangue - il portatore di Morte e Ombra.

Venne il Sovrano Buryan, vento da raggelare le ossa, e con lui le nubi veleggiarono sospinte oltre, rivelando il cielo nitido e freddo che apriva le sue porte agli avi. Caddero le foglie arrossate, e fecero nei boschi tappeti purpurei su cui apparve, d'avorio e d'ambra corazzato, il Guerriero d'Oltremondo.
Passò per Mingurtheb, Menelvathor, Ostenbar e Arkenkrac, tutte le città degli Alphar egli visitò.
Ovunque andava, pallido e rosso, uomini e donne alpharen, giovani e sani, buoni per l'amore e il raccolto, abbandonarono i campi e i figli, si tinsero il volto col nero e il verde cupo (colori della guerra) e partirono, seguendo l'ultraterreno campione.
I loro occhi non cercavano più la perfezione del corpo, la bellezza dei lineamenti, la meraviglia della crescita, ma fame avevano di crear carogna, spegnere sguardi, sete avevano di bagnarsi nel sangue.
Non è questo l'ennesimo sconcio provocato dall'Umanità?
I troppo giovani e i troppo deboli, attorno ai propri sciamani, guardavano inquieti cuori generosi e membra forti partire per arare campi con catene di ferro, seminare ossa, falciare vite preziose.

<< Così triste, così terribile! >> esclamò il sommo sciamano << vedere tutte le nostre migliori forze defluire dalle città, via dai nostri abbracci, dal nostro cuore, come sangue da una ferita! Ahi, Albero della Vita! Per salvarTi siamo costretti a scuoterTi e tranciare parecchi dei Tuoi rami! Ti riprenderai mai? Si riavranno i Tuoi figli? >>
Dette queste parole, il Grande Sciamano si coprì il volto con un lembo del manto bruno e camminò via dalla piazza. Tutti allora si sentirono perduti e rincasarono affranti, aspettando la fine.

Intanto, ombre di ferro assetate di sangue percorrevano il Cammino della Morte, seguendo fra tronchi e radici le orme lasciate dal Guerriero d'Avorio e Ambra.

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