L'Ultimo Guardiano
di Francesco Coppola

L'Ultimo Guardiano

E la Città Labirinto fece silenzio. Per i budelli di ardesia, non una delle sue vite immiserite circolava.
Ancora davanti alla tomba di Hurm, suo zio, Arald se ne stava a scrutare, muto, il proprio passato sulla baluginante ombra della lama che gli era appartenuta, lamanigra, la bevitrice d'anime.

"Mi hanno tradito!" avevano urlato i suoi occhi, fissandolo mentre il sangue colava dalle tante ferite che i sicari gli avevano inferto. Era stato un addio senza parole il loro. Solo le sue lacrime e la mano, dolce, faticosamente tesa a carezzare il volto contratto dall'ira impotente.

Ma era giunto il momento per il nipote, l'ermeta e l'apprendista di restituire il favore. Sui cirri d'ombra della spada si stagliò il labbro arricciato del ragazzo divenuto uomo, i denti snudati. Aveva scoperto l'identità sotto cui si celava l'ultimo Guardiano dei Draghi di Zeiniya. Quel giorno avrebbe portato a termine lui il lavoro.

L'ingresso nel Tempio Grifo era affollato; nel tentativo di precederlo, sciamavano davanti a lui gli sciacalli che tentavano di anticiparlo.
Li lasciò fare, tanto non potevano competere con lui, e neanche con la sua preda.
Si godette, in disparte, la gara di enigmi fra il serpe sotto mentite spoglie e i giovani assalitori. A ogni risposta esatta un assalto a disposizione, un errore e sarebbe toccato al drago colpire. Quante altre volte l'aveva vista quella scena? Unica sua consolazione era che quella maledetta caccia, in quella stramaledetta Città Labirinto, sarebbe stata davvero l'ultima.
Intanto i suoi avversari cadevano, uno a uno, tra le fauci del falso sacerdote.

Finché, quando ormai era stanco di veder altre vite spezzate dal mostro che si annidava nel tempio, avanzò tremando, per lunga ira repressa e per fame di vittoria. Il nemico equivocò e pensò di aver un altro pasto servito alle sue gialle fauci.
Fra le statue ieratiche dei doppi grifi di bronzo, il cacciatore sbagliò di proposito la risposta. Il serpe guardiano mostrò tracotante le scaglie del petto - si preparava a ingoiare la sua ultima vittima il maledetto - ma, tradimento per tradimento, Arald non sarebbe stato al codice e reagì all'attacco conficcando Lamanigra profonda, contro il palato drago.
La lama color della notte spezzò le difese del nemico scaglioso e ne bevve, avida, la vita andando sempre più a fondo, sino al cuore.

Fuori, fra le strida dei gabbiani e il mormorio del mare, quando finalmente uscì dai doppi portali scolpiti del tempio, in faccia alle galee ancorate in porto (bassi lupi di azzurre distese salate), fu finalmente la volta di Arald d'issare l'arma ancora insanguinata al cielo e assumersi l'onore della vittoria. Il cucciolo si era fatto lupo.
Come tante volte lo zio, il suo mentore, il suo secondo padre, aveva fatto prima di lui, "CACCIADRAGHI!" urlò, ultimo di una razza di distruttori di qualsiasi male alligni sotto la volta scolpita del cielo.

Commenta questo racconto