L'oscura strega delle Anime
di Carmine Colella

I suoi passi riecheggiavano, sinistri, nella bruma notturna, tra i vicoli dell’antico borgo.
Incastonata tra alti monti, dopo il tremendo terremoto che aveva colpito la zona, la città era stata abbandonata e, da allora, era diventata il suo regno segreto.
Come ogni notte la città fantasma era popolata di spettri irrequieti, inconsapevoli di esser morti, che, leggeri, spostavano le sue vesti nere. Ciò che restava dei loro corpi era ancora sepolto sotto le macerie degli antichi palazzi e, come un legame sottile, li teneva incatenati a quel luogo ormai estinto. La luce, che, forte, si sprigionava dal suo soffio vitale, unico in quel mondo di morti, era, per loro, vivida come quella del sole e li attraeva irresistibile. Come un’esca malefica, notte dopo notte, li conduceva, per sempre prigionieri, nella sua oscura anima di strega, che, proprio grazie alla loro energia, restava immortale. Ad ogni passo, ad ogni anima rinchiusa, il suo potere aumentava e nulla potevano i demoni, affamati anch’essi di anime da trascinare giù all’inferno, contro di lei.
Tra i boschi selvaggi, che cingevano le antiche mura, infatti, terribili esseri attendevano silenziosi, cercando, talvolta, di entrare nel paese, ma non esisteva entità incorporea che i potenti incantesimi della strega non potessero arrestare.
La strega, tranquilla, percepiva la presenza di quegli esseri lontani come se fosse un’eco sommessa.
Sfamandosi, ingorda, delle povere anime, rideva silenziosa delle creature in inutile attesa fuori dalle mura e, dopo un po’, ormai sazia, si diresse verso l’antica chiesa, divenuta, da tempo ormai, la sua dimora.
I suoi primi passi, nella cadente navata gotica, furono accompagnati dal riecheggiare polveroso del cigolio dell’antico portale, ma, dopo pochi attimi, il loro incedere deciso fu l’unico suono a viaggiare, rapido, tra le colonne e le statue di un tempo ormai andato.
Era ormai quasi arrivata alla sagrestia quando qualcosa la fece trasalire.
Ferma, appena al lato dell’altare, una figura, candida come la neve ed, al tempo stesso, oscura come la morte, la osservava in silenzio.
“E’ curioso” cominciò l’essere sconosciuto “come una strega possa trovarsi bene nel luogo dove, in passato, le bruciavano quelle come lei.”
“Chi sei?” fece quella minacciosa “cosa vuoi?”
L’altro continuò, come se non l’avesse sentita: “Sai strega, dopo quattrocento anni, avresti dovuto imparare che se un luogo non è per te non dovresti andarci… io l’ho imparato.
La strega non temeva quello strano demone, ma non riusciva a capire e così, prima di ucciderlo, chiese: “Dimmi, creatura dell’inferno, come hai superato i miei incantesimi?”
Quasi sussurrando l’altro chiese: “come mi parli, strega? credi che io sia uno dei tuoi amichetti là fuori?” poi, alzando minacciosamente la voce, disse “io non sono incorporeo ed i tuoi incantesimi non possono nulla contro di me, io sono una creatura della notte, un vampiro, e sono qui per il più grande tra i poteri, il sangue di una strega”.
Tanto rapido, che la strega non lo vide nemmeno arrivare, si nutrì del suo sangue e, con esso, il potere fu suo.

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