Effetti collaterali
di Walter Serra

<<Dottore, ne ho un bisogno disperato!>> Mi accorgo di strattonarlo per un braccio.
<<Non le posso prescrivere un farmaco per impedirle di dormire. Mi spiace.>> <<Ma così è lei a condannarmi a morte. Ho degli incubi spaventosi e mi sveglio urlando di terrore. Mia moglie non ne può più, i figli si vergognano di me e i vicini… Io non sono pazzo, dottore!>> Mi affloscio sulla poltrona, esausto. Non ne posso più, ogni notte sogno di essere sepolto vivo e di risvegliarmi nella cassa mentre ricolmano la fossa.
<<Questo è l’indirizzo di uno psicologo. È un mio amico, si può fidare. E prenda gli anti depressivi come le ho prescritto.>> Ma ormai sono uscito, sbattendo la porta. Nella sala d’aspetto nessuno osa guardarmi, sfilo veloce e riguadagno la piazzetta. La solita panchina raccoglie i miei pensieri, ma oggi non ho voglia di guardarmi dentro, per cercare di capire le origini del mio malessere. Sto attraversando un’età che vive di piccole soddisfazioni. Lavoro, famiglia, passatempi, tutto garbatamente miscelato e accettabile, nessuna tensione.
Ho solo perso la qualità del sonno.
Da due mesi, tre settimane e un giorno. Quattordici ore alla mezzanotte e al mio prossimo incubo. Se devo associare una genesi, a questa storia maledetta, mi viene in mente solo l’orologio da taschino, acquistato da un antiquario appunto tre mesi fa.
A mezzanotte e a mezzogiorno scandisce tre rintocchi, un lieve scampanellio appena percettibile. Me se di giorno nemmeno si sente, di notte diventa un rantolo di tuono e mi risveglio come se davvero mi mancasse il respiro.
Ho cercato di risalire al precedente proprietario, ma chissà per quante mani sarà passato. All’interno dell’orologio ci sono incisi numeri e lettere, forse ad opera del cassiere del Monte di Pietà, dove più volte sarà stato impegnato.
Tolgo l’orologio dal taschino del gilet. Le lancette sembrano tralci di vite annodati, argento e oro, splendenti sul quadrante di porcellana. Lo porto all’orecchio, a spiare gli arcani meccanismi che lo rendono così preciso e inquietante. Son sicuro, tutto dipende da lui.
Domani ritorno dall’antiquario e glielo rivendo, magari in cambio di quella splendida stilografica d’epoca laccata di nero. Che figura, farebbe, quando firmerò i prossimi mandati d’arresto!
Presto ci sarà un’udienza importante, dovrò ascoltare molti testimoni, allora sì che fioccheranno nomi eccellenti! Mi frego le mani e mi avvio verso casa. Però stanotte ho bisogno di dormire, che domani avrò molte carte da mandare a memoria e facce scure da sostenere fieramente.

La cena s’è consumata lentamente, fra piccoli discorsi e un telegiornale che poco svela, della verità. Scelgo con cura le pastiglie per questa notte, l’ultima notte degli incubi. Un bel sonnifero, ecco, via i sogni e le paure.

Sobbalzo, sudato e senza fiato. Quel maledetto orologio! Infilo la mano in tasca, lo afferro e faccio per gettarlo via, nel buio che ho attorno, ma il gesto si ferma inatteso, contro un soffitto.
Stoffa e legno massiccio. Urlo…
<<No! Vi prego, tiratemi fuori!>>
Aria, manca l’aria.
Un tonfo sordo mi scuote.
<<Aiuto!>>
Aria…
Ar…

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