Damon Gallagher in “INCHIODATO ALLA MORTE”
di Simone Censi

Era notte fonda e l’umidità era stata assorbita anche dall’anima. Finalmente era mio.
Al primo albeggiare lo vidi di ritorno, sfiorando terra entrò dentro. Dovevo stare attento, era letale come niente al mondo. Aspettai ancora un attimo soffocando in me la voglia di uscire allo scoperto.
Mi avvicinai con la sua stessa premura e scivolai dentro senza far nessun rumore, appoggiai il lume lì vicino, appoggiai la borsa da lavoro a terra e con entrambe le mani alzai il coperchio. Nessun cigolio mi doveva tradire.
Era lì, davanti a me. Devo dire la verità, bello. Bello e terribile principe della notte con un rigagnolo di sangue ancora fresco al lato della bocca. Un’altra vittima immolata sull’altare del male.
Tirai fuori dalla sacca un punteruolo di frassino lo posizionai sopra al cuore, presi sempre dalla sacca un martello in legno a testa grande, strinsi forte l’impugnatura e con un colpo deciso lo piantai fin dove poteva.
Emise un urlo profondo, assordante, delirante, sovraumano.
Abbassai lo sguardo, presi il macete che avevo al fianco e lo alzai dietro la mia testa per sferrare il fatale fendente. In quel momento mi accorsi che tutto era ripiombato nel silenzio più irreale.
Uno sguardo quasi umano avevo trovato in lui ed un sorriso appena rivelato. Aveva posato la sua lunga mano sopra la mia che ancora teneva il paletto conficcato sul suo cuore, ma non per toglierlo, mi aiutava a premere.

Guardandomi come chi aveva capito che era tutto finito mi disse:

- Finalmente tu, non puoi nemmeno immaginare quanto è dura non poter morire.
Sai. Non riesco ancora a togliermi dalla mente i suoi straordinari occhi azzurri, grandi, capaci di penetrarmi l’anima.
La prima volta la vidi tra la folla in festa che freneticamente si muoveva in quella piazzetta affollata, sembrava volare, tanta era la sua grazia ed i capelli raccolti con un fermaglio sulla nuca lasciavano scoperto il candido collo di avorio.
Non esitai a seguirla fino a quando lei si volse ed in quel preciso istante, quando naufragai nell’immenso oceano dei suoi occhi, ebbe inizio la mia triste odissea.
Si avvinghiò a me come l’edera al ramo ed io persi ogni controllo. I suoi capelli del profumo dell’ambrosia e le sue labbra che lambivano il mio collo. Ero già preda.
Mi prese la mano e mi portò in aperta campagna.
In quel momento lei si mise sopra di me, inarcò la schiena in modo seducente poi ricadde in avanti avvinghiandomi il collo con una forza che sembrava al di fuori della sua portata.
Mi sembrava di soffocare. Caddi in un profondo torpore e mi ridestai solo il mattino dopo.
Solo.
Fuggii lontano, vivendo di notte e dormendo di giorno, una creatura diabolica che succhia la vita.
Dopo un po’ di tempo la scoprirono. La riesumarono e gli fecero quello che ora tu stai facendo a me.
Grazie -.
Il macete cadde fulmineo senza pietà, andandosi a piantare solo dopo aver raggiunto la parte più dura del legno sul quale quel demonio giaceva.

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