Il velo dei sensi
di Domenico Mastrapasqua

Conclusa con un ricco bottino la precedente nottata di furti, decisi che per tutto quel nebbioso sabato mi sarei concesso dell’ottimo vino e la compagnia di una prostituta, stavolta però di lignaggio superiore rispetto ai miei standard. Il mio salvadanaio, dopo settimane di magri contenuti, era finalmente ricolmo, e non c’era motivo per non atteggiarsi a ricco possidente, nossignore.
Decisi per La Taverna del Cavaliere Mistico. Aperta tutto il giorno, offriva del sublime vino rosso, capace di abbattere il più tollerante dei bevitori.
Avvolto nel mio cappotto nero, e con la testa ricoperta dal cappuccio in velluto, entrai nella Taverna, con le mani nelle tasche, e i polpastrelli che tamburellavano sul sacchetto delle monete.
Avevo lasciato la restante refurtiva nel mio alloggio, una mansarda ben nascosta agli occhi di chiunque, nel Quartiere delle Materie Oscure. Pur apprezzando e praticando diverse dottrine magiche, non mi ritenevo uno stregone, quanto piuttosto un apprendista perenne. La mia pigrizia – o la pura e semplice incapacità, secondo la saggia opinione del mio maestro, Multivox, il Mago dalle Infinite Voci – mi aveva ancorato al rango di ladro. Se non altro, in quanto a ladronerie, me la cavavo piuttosto bene.
Occupato un tavolo, scheggiato un po’ ovunque e inciso da coltelli, uncini e stiletti, ordinai per prima cosa un boccale di vino bollente, per dissipare la fastidiosa umidità di quelle giornate tanto grigie. La cameriera, una giunonica donna con il broncio stampato in volto – forse per i continui palpeggiamenti dei clienti – mi servì poco dopo, portandomi anche un tozzo di pane croccante. Feci colazione, con la testa bassa, e non prestando alcuna attenzione alle risse, alle discussioni e ai cori improvvisati che imperversavano nella sala.
Due giovani e snelle madrine del piacere sedevano annoiate vicino al bancone. Ma chissà per quale misterioso costume, i clienti preferivano tormentare le cameriere, tralasciando invece le perfezionate capacità di quelle abili meretrici.
Una delle due ragazze, incrociato il mio sguardo, subito si avvicinò, sedendo al mio tavolo e bevendo una gran sorsata di vino dal boccale per metà già vuoto.
– Soltanto cinque monete… mio elegante signore.
Non seppi resistere… Portai la giovane donna nel mio nascondiglio, non avendo altro posto, ed essendo l’alternativa un lercio vicolo cieco.
Facemmo l’amore, con ardore. Il suo corpo ridiede vigore al mio, le nostre fiamme bruciarono per l’intero pomeriggio, senza sosta.
Per pura vanità, decisi poi di mostrarle alcuni trucchi magici di mia conoscenza. Ne rimase incantata. Dopodiché rivelò di conoscerne uno anche lei…
– Dove vorresti essere in questo momento?
Preso da un insano romanticismo risposi: – Vorrei incontrarti ancora. Rivivere quel momento meraviglioso.
Di colpo la mia stanza svanì. Ero tornato nella Taverna del Cavaliere Mistico, infreddolito e in mutande, con la pelle imperlata dall’essenza della donna.
Ancor prima di suscitare ilarità, corsi via, attraversando velocemente i quartieri che mi separavano dal mio alloggio.
Tornato a casa, la tragedia. Le mie ricchezze erano… svanite! E sul legno della porta, inciso con estrema bravura, il simbolo della Confraternita dei Ladri, un grimaldello e un pugnale incrociati…

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