The strange girl
di Jessica Black
Sinceramente non ricordo bene qual è stata la prima cosa ad attirare la mia attenzione. Ricordo solo i suoi occhi scuri. Erano di un nero talmente intenso che nemmeno riesco a spiegare. Neri più della notte, più delle nuvole cariche di pioggia. Profondi più di qualsiasi cosa razionalmente immaginabile. Però era bella, molto bella. I suoi capelli erano lunghi e lisci. Mi fissava alquanto interrogativa, stringendo gli occhi e le labbra. Quest’ultime erano quasi bianche. Quando provai ad avvicinarmi lei non si mosse nemmeno di un centimetro. Rimase ferma, seduta su quei scalini, con il mantello sulle spalle. Era un mantello strano. Aveva dei disegni sparsi qua e la. Simboli senza senso, almeno per me. Non sembrava affatto infastidita dalla mia presenza. La pioggia cadeva leggera ma lei sembrava del tutto indifferente, persino al vento che soffiava insistente. L’unica cosa a lasciarmi perplessa erano stati i suoi vestiti. Nonostante la pioggia erano rimasti, a prima vista, del tutto asciutti. Era passato un buon quarto d’ora ormai, ed io continuavo a stare lì, in piedi, sotto la pioggia – che piano piano aumentava sempre di più – a fissare una perfetta sconosciuta dall’aria a dir poco stramba. Doveva esserci senz’altro qualcosa che inconsciamente attirava la mia attenzione; forse speravo di scoprire chissà quale mistero. Probabilmente senza rendermene conto ero diventata preda della stanchezza accumulata da giorni. Mi chiedevo per quanto tempo sarebbe ancora rimasta lì senza dire niente. Ad un tratto alzò gli occhi verso i miei, provocandomi uno strano senso d’agitazione. Voleva forse dirmi qualcosa? Un brivido attraversò la mia schiena e un senso di stupore invase la mia mente quando, inaspettatamente, sentii la mia voce.
<<Come ti chiami?>>
Ne era uscito un suono alquanto flebile. Probabilmente anche lei aveva percepito il mio senso d’insicurezza, o almeno, con questo avevo giustificato il suo silenzio. Si era limitata ad abbassare lo sguardo e a fissare a terra qualcosa; provai a capire meglio di cosa si trattasse ma da quella distanza non mi era possibile. Doveva essere un pezzo di carta. Lei lo prese in mano e lo portò più vicino al viso. Forse stava cercando di leggere qualcosa che probabilmente la pioggia aveva cancellato. Dai suoi occhi percepii un senso d’inquietudine.
<<E’ davvero strano che tu non mi abbia riconosciuta…>>
La sua voce era diretta e alta al punto giusto.
<<Non capisco, cosa intendi dire?>>
Lei mi sorrise e la sua voce si fece più cupa.
<<Domattina, alla luce del sole, quando camminerai per quella stradina laggiù capirai tutto, fidati.>>
Io annuii senza poter comprendere del tutto ciò che in realtà voleva dirmi.
<<Si è fatto tardi, devo andare…>> disse improvvisamente alzandosi in piedi.
Io annuii di nuovo e rimasi un po’ a pensare a cosa dire ma poco dopo mi accorsi che lei non c’era già più.
Il giorno dopo, come mi aveva detto di fare, passai come sempre lungo la stretta stradina di periferia e rimasti alquanto sconvolta nel ritrovarmi davanti il manifesto funebre con la sua foto stampata sopra…

Commenta questo racconto