Verso un nuovo inizio
di Monica Spigariol

Era in fuga da giorni.
L’ansia e lo sconforto di vagare sola senza meta, rendevano quel periodo lungo come anni. Rannicchiata sul limitare del bosco, il viso stanco tra le mani, pensava con amaro piacere a casa sua.
Un rumore dalla selva la riportò al suo deprimente stato con ghiacciante terrore.
Era un soldato del re Astor?
Slegò rapida il lungo filo ramato allacciato al polso, pronta a una disperata resistenza, ma, da dietro un argenteo albero, comparve un cane dal pelo marrone e un occhio cieco. Avanzò fino a poggiarle il muso su una gamba. Lindel lo riconobbe: era Hikes, appartenente al defunto fratello.
Il ghiaccio che sentiva nella testa e nel petto si sciolse.
Voleva carezzarlo, ma il cane le girò attorno. Quando il muso toccò la sua guancia, scaturì un vortice bianco che lo risucchiò: lei venne scagliata contro i tronchi d’argento, mentre una voce le rimbombava nella testa: “Non devi tornare a casa - Non devi tornare a casa”.
Buio.
Ripresasi, la ragazza sbalordita vide che uno sconosciuto, dall’occhio bianco e i lunghi capelli castani, aveva rimpiazzato il fedele Hikes. Per lei, fata ibrida, era evidente che fosse un mago: la sua gente odiava la stirpe magica.
Si raddrizzò orgogliosa, scostò i neri capelli dal volto e con indifferenza ripulì il modesto abito verde segnato d’argento: in pugno, però, stringeva forte il magico filo ramato. Raccolto il coraggio, lo fissò: luceva di un bianco opalescente.
Non dissero nulla per lungo tempo.
Era indecisa: l’occhio ambrato era limpido e buono, quello bianco le era familiare. L’aveva già visto?
“Lindel, non devi tornare a casa. Devi andare a Sameur.”, disse infine l’uomo.
“Chi sei per permetterti di dirmi cosa devo fare?”
“Un amico”
“I miei amici sono morti oppure prigionieri del re Astor.”
“Io ti sono sempre stato amico. Fidati! Cavalca Danka e vieni con me a Samuer!”
Come poteva conoscere Danka? Le cavalle incantate dalle fate di Valle Oro, privilegio di nascita d’ogni fata ibrida, erano visibili solo alle loro padrone.
Lo fissò di nuovo e d’improvviso ricordò vari volti dall’occhio opalescente: un garzone, un mercante di stoffe, un cavaliere, un gatto, un’aquila ammaestrata e infine Hikes.
Poteva fidarsi di lui?
Si avvicinò porgendogli la mano in cui nascondeva il filo. Lui la strinse speranzoso: una potente, subdola, scossa lo tramortì. L’aura opalescente scomparve assorbita dal filo e si riversò nella mente di Lindel. Conobbe così il suo passato e le sue intenzioni; scorse se stessa in vari luoghi, percependo i pensieri e i sentimenti più intimi dell’uomo.
Ebbe una visione del loro futuro: la fine del suo paese avrebbe portato all’inizio di una nuova epoca.
Scostò la mano, permettendo al mago di riprendere possesso di sé e della sua opalescenza.

Lindel salì in groppa a Danka, che era sempre stata al suo fianco, e divenne invisibile. La sua voce si rivolse all’uomo ancora intontito: “Verrò con te. Ma prima dimmi il tuo nome.”
Il mago bianco sorrise: “Mi chiamo Lednil”
Il destino era già stato scritto.

Commenta questo racconto