Il Rapitore e il Bacio
di Marco Bellomo

Quella donna mi aveva sempre affascinato, con la sua parvenza mediorientale. La vedo ancora… se chiudo gli occhi. Occhi naturalmente neri, profondi come pozzi, in cui si sia perso l’ultimo fastigio di una luna dimenticata; ultimo bagliore dell’anima.
Si muoveva come se nulla la toccasse, come se nulla fosse, come se il mondo non potesse sfiorarla, e nulla esistesse oltre i suoi occhi, in essi racchiuso il segreto e il motivo dell’universo Esisteva un pensiero, appena accennato, maliziosamente dietro la cortina dei suoi occhi, tanto che spesso mi sono chiesto cosa nascondesse. Lunga braccia sottili e candide, e labbra sottili, dolci piedi piccoli e ben fatti, affusolati.
Affascinante.
Eppure ne avevo viste tante, di donne. Le avevo seguite lentamente, tentando di calcolarne il valore.
Esistono tanti mestieri su questa terra, e io ne facevo uno non male, a pensarci bene.
Un involontario ripiegamento del labbro in alto, e capisco che deve essere un sorriso, e sento ancora un brivido di piacere, come mi accadeva, talvolta, prima che accadesse .
Bionde, more, gambe corte o storte, petto quasi inesistente, tutte avevano il loro estimatore, perché bellezza e bruttezza non sono altro che etichette assegnate alla nostre perversioni, e bene e male, brutto o bello, non sono altro che varco immaginario costruito attorno alle nostre passioni; ben nascoste dietro le pieghe della mente.
Sultani, ricchi pugili in pensione, magnaccia… Donne che sarebbero morte o rimaste per sempre segregate, non mi importava di quale potesse essere la loro fine, mi interessava solo poterle rapire; annusarne una stilla di mistero, prima di doverle consegnare al cliente.
Così sapevo bene quale parole colpissero una sconosciuta, e come avvicinarmi a lei senza che sospettasse. Sapevo bene come distrarla, e infine strapparla a una anonima folla. Fin troppo facile, dopo lunga osservazione.
Si… se chiudo gli occhi, ancora oggi la rivedo, e se la mano, colpevolmente, vola a carezzare distratta il mio collo, come a volerlo possedere e consolare; Avanti e indietro… avanti e indietro, velocemente, in un fugace contatto per un conforto, che subito stanca…disgusta… Non so più cosa dovrei sentire; non più.

Così la seguii, quella notte. Notte senza stelle.
Strada senza luce, come tante ancora ne esistono nel mondo, odori del porto, e di una zuppa lontana, in un locale caldo, così distante dal freddo atavico, che sentivo nel seguirla.
Barche su un lato del molo, e lei, che di notte, camminava piano, senza preoccupazione.
Riflettevo…
Era strana quella donna, e non capivo il perché solo di notte, la avessi vista frequentare il mondo. Cosa nascondeva? E perché tranquilla e serena, continuava a camminare senza far motto, sapendo benissimo che qualcuno la spiava, la seguiva?
Non so più quali sono i miei veri ricordi.
Ricordo solo di averla vista, l’attimo dopo, sbattermi con violenza verso un muro. Neanche provai paura, nel vederne gli occhi sparire, e i lunghi denti affilati approssimarsi al mio collo. Ricordo solo, prima di aver sentito il dolore della pelle dilacerata; di aver pensato “è il mio stesso mestiere! “

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