Il Pozzo
di Stefano Milighetti

Un boato echeggiò nella Galleria Lucente.
Si guardarono da sotto i cappucci, inquieti. Erano guardie, ma come tutti, erano vittime della paura quando qualcosa succedeva nella Galleria Lucente, la “Zona Inviolabile”.
Twell e Sydd si guardarono, indecisi sul da farsi.
“Cosa è stato?” chiese Twell che aveva portato la mano alla spada.
“Non lo so, ” disse Sydd con voce vibrante di terrore. Aveva sentito storie di creature innominabili che compivano i più orribili misfatti. Creature che sbucavano sempre dalla Galleria Inviolabile.
“Una creatura?”
Sydd annuì.
Twell impugnò la sua spada e fece per incamminarsi lungo la Galleria.
“E’ proibito!” urlò Sydd afferrando un braccio dell’amico.
“Lo so, ma dobbiamo andare: è il nostro dovere, ” aveva replicato Twell liberandosi di Sydd.
“Hai sempre desiderato vedere la Galleria!” ora Sydd stava per piangere, consapevole che se Twell fosse andato, avrebbe dovuto seguirlo. Così recitava il Codice.
“Sì, è vero, ” e si era inoltrato, guardingo e attento, come gli avevano insegnato.
“Aspetta Twell, ” aveva piagnucolato Sydd, “andiamo a dare l’allarme, poi…” ma Twell non si era neppure voltato. Entro breve, sarebbe scomparso alla vista di Sydd.
Guardò la sagoma dell’amico mentre si allontanava, lentamente ma in modo costante. Pochi passi ancora e l’oscurità l’avrebbe inghiottito.
Pregando gli dei di donargli forza e coraggio, Sydd impugnò la spada e seguì Twell.
Il nome, Galleria Lucente, era secondo Sydd un inganno: la luce era esattamente la stessa di tutta la città. Fievole, opaca.
Faticosa.
Lì dentro non c’era niente di lucente!
Era un sentiero tortuoso, senza biforcazioni ma con curve molto brusche e continui dislivelli.
Twell era al suo fianco, vigile come un vero soldato. Sembrava che su di lui la paura non avesse trovato un terreno tanto fertile quanto nel cuore di Sydd.
Lo invidiò.
Erano sbucati all’improvviso in una zona diritta e fu in quel momento che Sydd vide uno sfavillante cerchio di luce. Luce brillante, che rischiarava di folgore la penombra della galleria.
“La vedi?”
“Sì,” aveva risposto in un bisbiglio Twell; “e c’è qualcosa laggiù.”
“Torniamo indietro,” disse Sydd che aveva notato subito la sagoma scura al centro del cerchio.
“Non dire idiozie,” grugnì Twell
Arrivarono nei pressi di quel velo fulgido: cadeva dall’alto e Twell, alzando gli occhi, vide, dopo un pozzo di pietre, un meraviglioso gioiello celeste, un colore così brillante che i suoi occhi iniziarono a lacrimare: mai aveva visto spettacolo più bello.
Per terra, ai loro piedi, c’era una creatura, alta, con la pelle rosa e strani abiti dai colori sgargianti. Sulla testa spuntava una massa informe di peli rossicci.
Twell la guardò, guardò su per il pozzo e poi il blu.
Quella cosa doveva essere venuta da lì, non c’erano dubbi.
Alle loro spalle, cogliendoli alla sprovvista, qualcosa si mosse.
Twell si voltò, la spada pronta a colpire.
Si bloccò: c’era Bukow, uno dei Savi.
Fissava la creatura.
“Cos’è Maestro?” chiese Twell.
“E’ uno dei loro cuccioli,” rispose Bukow pensieroso; “dobbiamo serrare le porte della città. Gli umani verranno a cercarlo.”

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