Il Guardiano Cieco
di Gabriele Fumagalli

Il cavaliere giunse, alfine, alla conclusione della spiaggia, eterna distesa di sabbia, subdola tana di serpi velenose e selvaggi senza Dèi. Il loro sangue macchiava la sua armatura arroventata dal sole e gli zoccoli del suo cavallo temprati da mille battaglie.
Ma tutto questo era dietro; davanti a lui, solo il faro, o forse le sue rovine. Nessuna luce ardeva nella sala sulla sommità.
Fiori di glicine e foglie di edera si arrampicavano sulle pietre erose dal vento e incrostate dal sale, mentre lungo i gradini saliva il cavaliere, un passo dopo l’altro, misurato, calmo. Era arrivato in cima.
Lassù, nella stanza, stava un uomo. Era vecchio, forse come il mondo, e i suoi occhi ciechi erano baratri di disperazione: “Ti stavo aspettando, Mansfeld.”
“Ti stavo cercando, vecchio.”
“Non usare quel tono con me, uomo. Anche se i miei occhi sono scuri, ho visto il mondo nascere dalla scintilla di follia di un Dio, l’ho visto depravarsi nei suoi sogni, e ho letto il dolore negli occhi degli uomini. Presto quel Dio si sveglierà, e il sogno avrà fine.”
“Tu vaneggi, vecchio.”
“Tu supponi, cavaliere. Il potere degli Dèi è più grande di quanto tu possa anche solo immaginare, e la tua paura lo rimodella in canoni accettabili per la tua mente debole.”
Esitazione.
“Sei qui per uccidermi, lo so. Ti hanno detto che in fondo alla spiaggia che sembra un deserto, si trova il male del mondo. E invece c’è solo un vecchio, cieco e con i suoi ricordi. E con il suo dolore…”
“Mi dispiace, vecchio, ma devo fare ciò che mi è stato domandato. Per una donna e per un uomo.”
“Per l’amore, forse? Non l’ho forse io visto, l’amore definito eterno, venire ed andarsene, per tornare e fuggire di nuovo? Innumerevoli donne ho amato, ma sempre sono passate, come le onde sulla spiaggia qui fuori. Se è per amore che mi uccidi, hai sprecato il tuo tempo…”
“Addio, vecchio…”, disse il cavaliere, estraendo la sua lama. Il sibilo echeggiò tra le pareti vuote. Un gabbiano si levò in volo e stridette la sua disapprovazione al cielo infuocato del tramonto.
Fu allora che gli occhi del vecchio mutarono, in maniera repentina, cangiando: un arcobaleno di colori che si inseguivano lungo l’iride. E il mondo si fece meno solido, le pareti si tramutarono in velluto trasparente e il cavaliere fluttuò gridando la sua disperazione al sole, quindi tutto scomparve. Restavano solo il buio e le tenebre.
Il vecchio era scomparso, e al suo posto stava un giovane dalla pelle candida e dagli occhi di mille colori. Sbatté le palpebre e si colpì le guance con le mani un paio di volte, quindi ridendo quasi malignamente al pensiero che una sua creazione stesse per porre fine a lui e a liberarsi dal suo giogo, si riadagiò nelle tenebre e tornò a dormire.
“Un sogno… solo un sogno…”, mormorò.

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