Il sapore del sangue
di Biancamaria Massaro

Avevamo quasi smesso di cenare, anche se il sole stava appena tramontando. I bicchieri di cristallo tintinnavano allegri tra le nostre dita e l’argenteria brillava alla luce delle candele. Era tutto perfetto, curato nei minimi particolari: vini e piatti tradizionali, accompagnati da prelibatezze provenienti da tutto il mondo; non mancava proprio nulla.
Le donne avevano cucinato tutto il giorno e gli uomini avevano portato tavoli e sedie nella piazza principale. C’era ogni squisitezza, tranne i dolci: li avevano mangiati tutti a merenda i pochi bambini rimasti. Se ne erano abbuffati fino a scoppiare, poi erano andati a letto. Dormivano ancora quando abbiamo piantato un paletto nei loro piccoli cuori e non si sarebbero svegliati mai più.
Quando il sole sparì del tutto, rabbrividimmo.
“Adesso è proprio finita”, commentò qualcuno, un altro propose l’ultimo brindisi, altri ancora piansero… nessuno si alzò. Tutti alla fine chiudemmo gli occhi, rassegnati, in attesa che arrivassero. Non ci saremmo difesi, anzi, avremmo offerto il collo a chi bramava il nostro sangue. Eravamo stanchi di combattere, di affrontarli. Tra le loro fila c’erano troppe persone che avevamo amato. Non li avremmo nemmeno sentiti arrivare, perché il sonnifero sciolto nel vino ci stava già facendo passare senza soffrire dal sonno alla morte.

***

Come ogni notte, ci siamo svegliati, assetati. Madri, padri, figli e amici che ci avevano pianto a lungo, adesso ci temevano. Facevano bene, perché con il loro sangue avremmo placato la nostra sete. All’inizio provarono a difendersi: il prete benedisse l’acqua e le case, gli uomini intagliarono paletti di legno e le donne raccolsero l’aglio per farne trecce da appendere al collo e alle finestre. Tutto inutile: ci bastava mostrare ai bambini che sapevamo levitare o ammansire i lupi per convincerli a uscire all’aperto. Alcuni li abbiamo resi simili a noi, così da attirare genitori la notte successiva. È stato facile e alla fine il paese si è arreso e si è offerto inerme ai nostri denti.
Quando è arrivato per noi il turno di banchettare, ci siamo serviti direttamente dalla fonte, senza bisogno di posate d’argento, tovaglie damascate e bicchieri di cristallo. Abbiamo spento in loro la nostra sete, ma senza gioia né piacere. Il sangue per noi non è miele né veleno, non è nulla. Immortali con il palato di un morto, siamo insensibili a ciò che mangiamo. Sazi, eppure mai soddisfatti, ogni giorno al buio delle tombe sogniamo una vita ricca di sapori. I nostri compaesani ancora umani lo sapevano e con la loro ultima cena hanno voluto ricordarci cosa abbiamo perso per sempre. Per ognuno di noi avevano preparato la pietanza che da vivi avevamo più desiderato, quella che ci faceva impazzire.
Vederla, sentirne l’odore e assaggiarla senza provarne il sapore è stato più doloroso di un paletto nel cuore.
Se non fosse già sua, venderemmo l’anima al Diavolo per sederci a tavola e gustare ancora una volta ogni portata.

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