Linea d'Ombra
di Alberto Tarroni

“Hei… tutto bene? Ti sento a tratti…”
“Si… ciao. Sono arrivato adesso. Sto parcheggiando. La linea è disturbata… Chissà, forse l’organizzazione è riuscita da chiudere la zona non solo alle auto, ma persino alle onde dei telefonini. D’altronde, all’interno della cittadina, durante la manifestazione sono vietati computer e cellulari!”
“Ancora non capisco cosa trovi in queste cose! Hai quarant’anni, un lavoro serio, tanti impegni e, quando hai un po’ di tempo, cosa fai? Viaggi duecento chilometri per andare in giro con un mantello e lo spadone in spalla. Ma quando crescerai?”
“Dai, falla finita! Chi gioca a golf, dipinge, oppure simula la guerra sparando pallini di plastica. Quelli che si rinchiudono nell’eremo o, all’opposto, ritrovano loro stessi fra i trentamila d’una maratona. Ognuno ha il suo modo d’evadere. Io torno indietro… o forse vado avanti! Un mondo finto, ma al tempo stesso più vero. Gente che non si conosce, si saluta con amicizia, perché condivide pensieri, speranze. Finge che esista un altro tempo, dove la magia entra nella vita.”
“Per favore! Non tenere lezioni sul Fantasy Nella Società Contemporanea! Per me rimanete un branco di bambinoni travestiti!”
“Balle! In nessun raduno si vedono tante maschere quante ogni giorno in ufficio! Tutti fingiamo, ci nascondiamo dentro armature. Ora ti saluto. Vado a cambiarmi. Sta anche scendendo la nebbia. Il mio mondo fantastico m’aspetta!”
***
Poco dopo l’uomo avanzava, solo, lungo un viottolo. Avvolto nel mantello scuro di lana grezza, dalla spalla sinistra pendeva una larga sacca, mentre sulla destra era issata una lunga spada dall’elsa crociata. La sua sagoma era avvolta nelle spire di nebbia, che ovattava rumori e nascondeva paesaggi. Alle spalle, il parcheggio oltre il quale non era consentito portare la modernità era ormai scomparso, coperto dal profilo d’una collina. Avanti, s’intravedeva la sagoma delle mura. Il sole, con l’ultimo tremolio, scompariva dietro la linea d’ombra del borgo. Il cammino terminava avanti un ponte di pietra, ad un campata, oltre il quale si stagliava un massiccio portone. Al culmine del ponte, due torce fendevano l’oscurità in arrivo, irradiando un’innaturale luce azzurra. Attraversata quella barriera impalpabile, l’uomo raggiunse l’accesso. Dalle colonne a lato, si staccarono due sagome massicce.
“Alt! Questo varco è riservato. Alla Festa s’entra per le altre porte” disse la voce d’uno dei due. Lunghe alabarde erano tenute incrociate a bloccare il cammino. Gli elmi di cuoio e ferro nascondevano i volti.
“Appartengo agli iniziati! Ecco il medaglione. Consentite il passo!” L’uomo tuffò la mano sotto al mantello ed estrasse una grosso pendaglio metallico. La testa di drago scolpita luccicava dell’azzurro circostante.
“Hai rispettato il divieto?”
“Certo, Guardiano. Niente manufatti scientifici.”
“Concesso dunque, ma ricorda: un giorno! Se entro il tramonto di domani non sarai uscito, ti verrà proibito per sempre d’abbandonare il nostro reame. Questo non è il gioco che si conduce nel medesimo luogo, sul tuo piano d’esistenza…”
“Lo so, Guardiano, ma non è detto ch’io desideri tornare…”
“Così sia, allora” disse, togliendosi l’elmo e mostrando le sue zanne aguzze, l’Orco Guardiano.

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