La dura realtà
di Andrea Gauna

Le luci dell’alba ancora non filtravano all’interno della stanza quando il suono della prima campana risuonò per il borgo annunciando la sveglia.
Rotfrid si alzò in un attimo. Era a pezzi perché ultimamente il sonno lo abbandonava alcune ore prima dei rintocchi.
Già vestito si avvicinò al focolare spostando le braci con l’attizzatoio e buttandovi alcune fascine.
Le fiamme iniziarono a levarsi e le alimentò con un piccolo ceppo di legno mentre il rumore intorno a lui iniziava a crescere.
Il calore del fuoco gli diede vigore e la sua mente cancellò l’immagine delle fiamme che aveva innanzi per sostituirla con visioni di gloria. Se il cielo avesse voluto da lì a poco avrebbe preso le armi e sarebbe uscito per dar battaglia e sterminare qualsiasi nemico del suo popolo; varcato l’uscio la luce del sole nascente l’avrebbe accolto e chiunque, vedendolo, non si sarebbe potuto trattenere dall’ammirarne la forza e la spietatezza in battaglia. Gli orchi sarebbero caduti come mosche, le loro corazze nulla avrebbero potuto contro la sua spada e le loro urla d’agonia avrebbero riempito le valli fino a che l’ultima di quelle immonde creature non fosse spirata. Sarebbe stato acclamato dal popolo quale salvatore, ma a lui la cosa non importava perché nulla poteva eguagliare il sorriso e l’ammirazione di Gisa. Solo per lei avrebbe combattuto, per vederla felice e donarle un mondo privo di pericoli, questo sarebbe stato il dono di nozze con cui avrebbe chiesto la sua mano. I lunghi capelli biondi e quel viso così gentile meritavano ogni bene. Le braccia di Gisa pronte a cingerlo al termine dello scontro e le sue labbra erano la meta più ambita, superiore a qualsiasi tesoro o al dominio su terre sconfinate. Una famiglia, dei figli e un regno in pace in cui farli crescere.
Gli occhi di Rotfrid brillavano come non mai.
Per la seconda volta la campana risuonò scuotendolo dai suoi pensieri. Afferrò il ferro appoggiato al muro e si diresse con passo deciso verso la porta, la spalancò con sicurezza e la luce della strada per un attimo lo privò della vista costringendolo a chiudere gli occhi.
Riaprendoli il mondo che fin troppo bene conosceva era pronto ad accoglierlo; le strade fangose, i colori spenti delle case e degli abiti sudici ben si addicevano al sottofondo di bestemmie che accompagnava il ritorno degli uomini dal lavoro notturno nelle cave.
- Spero tu abbia acceso il fuoco - gli disse Faruald mentre con Rodan entrava nella stamberga per mangiare e riposarsi in attesa del nuovo turno. Ora toccava a Rotfrid recarsi alla cava.
Gisa era a pochi passi, vestito lacero e mani callose ma sempre orgogliosa in volto. Rimase incantato a guardarla finché un poderoso calcio nelle natiche non lo scaraventò a terra. - Al lavoro schiavo - sbraitò l’orco.
Gisa rise vedendo la scena e un solo pensiero balenò nella mente di Rotfrid che si sollevava recuperando lo scalpello dal fango che ora insozzava anche i suoi vestiti - Che vita schifosa -.

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