Antinoe
di Angela Catalini

Gettata per terra in mezzo a casse e stracci, riuscivo a vedere solo le scarpe degli uomini che mi circondavano. Alcune avevano la punta macchiata di sangue. Un altro colpo di mazza sulla schiena mi paralizzò in una posizione innaturale. Contorta.
- Parla, maledetta puttana. Dov’è il tesoro?
Un calcio allo stomaco mi fece sputare pezzi di denti che tenevo in bocca. Assurdamente. Il sangue si stava raggrumando sul pavimento. Chiusi gli occhi.

Tutto era iniziato dieci giorni prima nello studio di uno psichiatra.
- Le praticherò una leggera ipnosi - aveva detto. - E insieme troveremo la radice del suo problema.
Ma avevamo trovato ben altro. L’ipnosi era andata abbastanza a fondo per condurmi oltre le porte consentite agli umani, in una dimensione antica e sconosciuta.
Ero tornata ad essere Antinoe, regina del popolo di Iaria, divinità femminile pre-arcaica. Una regina guerriera da sempre in lotta contro Fisidone, Re di Ugur, dio della Guerra.
Ero tornata a condurre le mie donne guerriere lungo il fiume Dadair alla ricerca di nuove alleanze con i popoli subacquei. Avevo attraversato il monte Tsuma dalle pendici rosse abitato dai temibili mitani, animali voracissimi capaci di raggiungere grandi altezze per catturare le prede. Avevo sfamato la mia gente, protetto la mia città dagli attacchi nemici, fino alla battaglia che mi era costata la vita: un duello contro Fisidone sulla piana di Tabir.
Avevamo perduto entrambi molti guerrieri e dopo la siccità e le razzie da parte dei Piliti, popoli predatori senza dimora, rischiavamo di estinguerci. Un’alleanza era impensabile perché i nostri popoli erano in lotta dall’alba dei tempi, forse uno scontro diretto avrebbe sancito la supremazia di un popolo e una tregua.
Avevo già incontrato Fisidone e conoscevo la sua forza, in quell’occasione ascoltai per la prima volta la sua voce. - Ti devo uccidere, Antinoe, figlia di Iaria, regina di Semantia - disse. Ma non alzò subito la spada contro di me. Restò a fissarmi muto con lo scudo abbassato.
- Sarai tu a morire Fisidone, dio della guerra, Re di Ugur - risposi. Ma la punta della mia spada guardava il terreno e lo scudo mi copriva appena l’addome.
Nessuno dei due si decideva a sferrare un colpo. Improvvisamente la spada si era fatta pesante, il mio popolo lontano, la guerra aveva perso significato. Che magia era quella?
Ma una freccia scoccata dall’alto, forse da una mano nemica, mise fine ai miei pensieri. E in risposta qualcuno lanciò un’ascia a folle velocità contro Fisidone.
I nostri corpi giacevano nella polvere vicini come non lo erano mai stati.

Gli uomini accesero un falò e misero sul fuoco due spranghe di ferro. Uno mi strappò la camicia lasciando la schiena nuda. Mi mise davanti alla faccia una mappa.
- Ti basta indicarci dove cazzo stava Semantia per salvarti la vita - sibilò.
Il primo marchio a fuoco dietro la schiena mi lasciò senza fiato. Gli uomini si chinarono verso di me. Attendevano una riposta.
- Così muore una regina - dissi soltanto.

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