Uccidere il drago
di Elena Clauser
Respirò, un suono roco e sibilante perso nella cacofonia della battaglia.
Prendeva fiato dopo essersi liberata da un nemico, il corpo deforme e straziato di cui si stavano nutrendo altri demoni. L'adrenalina correva nelle vene - tutt'attorno si combatteva - nei nervi scossi da tensione, rabbia, paura.
Si prese il tempo per cercare volti amici: non l'aveva fatto dall'inizio della battaglia e le serviva la semplice rassicurazione della loro esistenza. Chissà quanti erano crollati sotto l'ondata di orrore che premeva e premeva: erano pochi, troppo pochi per le orde oscure che ribollivano salendo contro di loro. Come se non bastasse - l'orrore non aveva fine - i guerrieri sconfitti venivano reclutati dal sangue immondo che li aveva contaminati e si presentavano, zanne ed artigli, a reclamare la carne dei loro compagni di un tempo.
Soffrì realizzando che nella furia della battaglia aveva colpito amici di un tempo, distorti dalla follia sanguinaria del male. Per un attimo il mondo tremò sui suoi cardini, finché ansimando per liberarsi dal sapore della bile non allontanò dalla mente quel ricordo.
Non era accaduto, non esisteva.
Avanzò, lasciando indietro la relativa calma che aveva creato attorno a sé; chi avrebbe combattuto ora? Altri goblin, creature striscianti... che paure avrebbe affrontato? Il campo aperto era un brulicare di nemici giunti dall’abisso.
Sbiancò alla risposta del destino, osservando la creatura che come una freccia mirava alla sua posizione: il corpo squamoso di scaglie verdi e nere, un nemico impossibile da sconfiggere.
"Non siete già abbastanza?" urlò livida, a risponderle solo l'inarrestabile avanzata del drago.
Ferma davanti alla belva non sapeva come agire; tremò, la punta della spada un ondeggiare confuso all'altezza degli occhi.
'Ti odio!', singhiozzò, 'Odio tutto quello che sei.'; ogni esitazione, ogni rimorso, ogni dolore da cui non era cresciuta - tornò tutto a tormentarla, vecchi fantasmi mal addormentati che si liberavano delle catene imposte.
Il drago rise spalancando le fauci; era imponente. Si srotolò e riavvolse per troneggiarle attorno, la sua coda ad avvilupparla in un abbraccio mortale ancora sciolto. Non c'era via di fuga.
Il resto del mondo andava sfuggendo via dalle sue mani: le conquiste, gli affetti, le semplici conoscenze che passavano come acqua, le parole che erano state importanti; erano solo lei ed il drago, la sua morte.
La bestia attaccò di scatto, un’artigliata che la fece sbattere di lato sul suo corpo velenoso. Non mollò la presa della spada, ma tremò per il vibrare delle ossa sulle squame dure.
I pensieri si mossero frenetici, ali veloci senza controllo. Perché combatteva?
La risposta esplose dal dolore. Combatteva per sé, per il sangue; combatteva per la speranza.
Qual è il punto debole di un drago? Non la gola, le ali… il ventre corazzato. Gli occhi.
Fissò quegli occhi freddi, inumani; controllò il pugnale infilato sul retro della cintura. Il cuore batteva all’impazzata; un fendente, quindi un colpo dal basso a sinistra per distrarlo. Il pugnale dritto nell’occhio destro, fino al cervello.
“Io vivrò!”, urlò.
Vivrò, finalmente, quando tu avrai smesso di esistere.

Commenta questo racconto