Confessione di un anziano principe azzurro
di Maria Elena Ligutti

Mi chiamo Azzurro e sono un anziano Principe. Principe, perché governo un Principato e tutti mi chiamano Altezza, anche se, la mia statura non supera il metro e settanta e forse, con la vecchiaia, mi sono anche rattrappito.
Quando ho conosciuto Biancaneve sembrava scritto negli astri che il nostro sarebbe stato Amore per sempre. Eravamo giovani, lei era bellissima, gentile, dolce, sembrava avere bisogno della mia protezione, del mio calore, ed io mi sono messo a sua disposizione. Dopo solo 2 settimane dal nostro incontro ci siamo sposati: colpo di fulmine scrissero i rotocalchi nazionali e internazionali.
La passione é bella, sfrenata, fino al giorno in cui guardi la tua metá e scopri che dietro a quel bel faccino e quell’ apparente innocenza si nasconde una sconosciuta. Dopo un anno di matrimonio non avevamo mai avuto nessuna discussione, nessun confronto, non sapevo se le piacesse leggere o scrivere, se preferiva il budino o la torta di mele. Non ha mai dimostrato il minimo interesse in problemi sociali, politica, economia, cultura generale. In una parola, quel sorriso incantevole perse poco a poco il suo fascino ammaliante e ai miei occhi rimase solo una persona vuota.
Ho mantenuto sempre il mio ruolo di Principe e sposo fedele sopportando la sua apparente perfezione, che ogni giorno mi irratava sempre di piú. Nelle notti di luna piena, cuando un fascio di luce le illuminava la pelle morbida, un oscuro pensiero mi assaliva: avrei voluto strangolarla. Certo era un pensiero fugace, fugacissimo, improprio di un Principe, era una meteora che attraversava velocemente la mia fantasia per poi scomparire dietro l’insensatezza del gesto.
Gli anni passarono e arrivarono i figli: quattro, tutti responsabili, gentili, educati, in una parola perfetti.
Amavo molto la caccia, un giorno che mi addentrai solo nella foresta Lo vidi: un giovane, grosso esemplare di lupo dal pelo grisaceo quasi...Azzurro. Dalla mia posizione avrei potuto facilemente colpirlo e abbatterlo. Eppure non lo feci. Ci fissammo negli occhi un solo eterno istante e mi sembró che ci capissimo. Aveva tutto quello che io avevo alla sua etá: la gioventú, la voglia di avventure, la libertá, lui compatí la mia “prigionia”. In pochi secondi capii che quell’“io” che credevo morto era ancora vivo. Ci salutammo.
Passó poco meno di un anno: passeggiavo nello stesso tratto di bosco con Biancaneve, lei sorridente, anche se il calore doveva massacrarla con quell’acconciatura e quel vestito di velluto. Lei, perfetta come sempre. Ad un tratto ci fermammo: il nostro seguito stavano tardando. Fu una frazione di secondo, vidi Biancaneve cadere a terra attaccata dal mio lupo Azzurro. Lo guardai senza muovermi e lo lasciai fare. Era lui il mio alter ego.
Al funerale di Biancaneve piansi. Piansi perché con lei svanivano i falsi miti della giovinezza e davanti a me si riapriva una nuova vita vissuta con consapevolezza e maturitá. Ma piansi anche perché, per riaquistare la mia nuova libertá, avevo perso un amico: uno degli stallieri vide il mio lupo Azzurro scappare e lo colpí a morte.

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