La baita
di Francesca Faramondi

Il tetto di legno, con il camino di pietra, spuntò all’improvviso in mezzo al bosco. Una piccola baita, di pietra e cemento bianco, con la porta di legno massiccio e una finestra rotta.
Era deserta, silenziosa, abbandonata alla natura che la stava inghiottendo. Dalla porta partiva una striscia bianca, che poi scompariva tra l’erba.
Claus spinse la porta da un lato.
La stanza principale era vuota ad eccezione di due sedie, posta l’una di fronte all’altra; il vecchio parquet scricchiolava ad ogni suo più piccolo movimento.
Claus si sedette.
Kim prese posto sulla sedia, di fronte a lui.
Rimasero in silenzio.
Kim chiuse gli occhi e si ritrovò su un tetto, il vento gli portava l’odore del mare, che sapeva di sale, ma era dolce come le banane e acre come il tabacco messo ad essiccare; dei campi ondeggiavano davanti ai suoi occhi, mentre le ombre delle nuvole, che correvano nel cielo, sembravano volessero portare con loro una parte di terra.
Riaprì gli occhi lentamente e notò che la sedia si era avvicinata, senza il minimo rumore.
“Riprova, chiudi gli occhi!”
Kim obbedì.
La sua mente, la sua parte razionale, sapeva che stava sbagliando, che doveva andarsene, che, se avesse tentato una fuga, sarebbe stata salva, perché quel vecchio non avrebbe mai potuto starle dietro, eppure la morbosa curiosità e l’attrazione che provava per quell’uomo la costrinsero a fare quello che gli ordinava.
Chiuse gli occhi.
L’ombra l’avvolse e l’odore di muffa e di stantio arrivò alle sue narici. Riconosceva quel posto, quelle mura e quelle sbarre arrugginite: era nella prigione del forte. Ad un tratto sentì un gemito sommesso, come un guaito di un cucciolo ammalato. Si voltò. In un angolo, un uomo seduto, con la testa tra le mani, osservava tristemente la sua immagine riflessa in una pozzanghera di fango.
L’uomo alzò la testa e Kim riconobbe Tiziano. Il volto scavato, ferito, gli occhi incavati nei quali guizzavano disperazione e rassegnazione, il corpo magro, tumido; i vestiti rotti, ingrigiti e sporchi di sangue.
All’improvviso l’uomo nascose la testa tra le gambe.
Quando rialzò la testa Kim non riuscì a trattenere un grido. Davanti a lei c’era Matteo. Legato come una bestia, ferito ed umiliato, non riusciva più a muoversi, a ribellarsi, aveva l’aria di una persona stanca, che dopo aver lottato tanto, decide di arrendersi.
Riaprì gli occhi.
Claus era davanti a lei, neanche stavolta aveva sentito il rumore della sedia sul pavimento.
Lo guardò negli occhi.
“Tu puoi salvarlo” bisbigliò
“Come?!”
“Non salvando te stessa”
Claus le accarezzo i capelli. Un freddo gelido l’avvolse.
Cadde in ginocchio, con la testa tra le mani. Piangeva, avrebbe voluto morire, avrebbe voluto scappare, ma non ci riusciva.
Kim avvertì la mano di Claus sulla sua spalla e capì.
Si abbandonò a lui, il cuore tornò a battere lentamente, lasciò che le forze scivolassero tra le travi del pavimento, che la sua anima uscisse dal suo corpo.
Claus s’inginocchiò accanto a lei.
Il pavimento cominciò a scricchiolare.

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