Essere Diversa
di Chiara Bailo

Ero finalmente in cima a quell’altura dopo quasi un giorno di cammino, ma n’era valsa la pena. La città si estendeva minuscola sotto di me, e soprattutto vicino a quei rifiuti non c’era nessuno. Nessuno che mi guardava con occhi gelidi e ricolmi d’odio, nessuno che sentivo bisbigliare di nascosto parole come: “Mostro!” o “è una condanna!”.
Trovai accanto a me un vecchio coccio di specchio, lo presi e lo osservai. La mia immagine si rifletteva forse un po’ distorta, ma era nitido ciò che rispecchiava di me: la mia diversità. I miei occhi erano così in contrasto che era impossibile non notarli. Un’iride era color del grano, contornata da pagliuzze dorate, l’altra invece era blu scuro, impenetrabile. Quella contrapposizione era la prova evidente di non essere pura, bensì una creatura nata per caso, anzi per errore.
Io stessa ero un peccato. Figlia di una delle creature divine che regnavano sovrane nei cieli, e di uno dei Demoni che depredavano incontrollati la terra. Il mio lato demoniaco, era celato dall’innocenza candida del volto, ma brillava nell’occhio sinistro.
Demone o Divinità? Ero l’atto più impuro che poteva essere commesso. Conoscevo la verità solamente grazie ai mormorii crudeli della gente umana, ai loro sibili disgustosi, che puntualmente mi giungevano alle orecchie ogni qual volta che mi scorgevano.
Infatti, né le divinità, né i demoni mi avevano voluto con sé. Anche se tutto era stato causato da un loro sbaglio, quella castigata dovevo essere io. Così fui abbandonata da entrambe le parti e dimenticata sull’arido suolo umano.
Se i miei genitori non erano in grado di accettarmi come potevano farlo loro? Semplici umani che erano indecisi se venerarmi in qualità di Dea Celeste, o temermi come Demone Selvaggio. Ovviamente era più semplice scegliere la seconda alternativa, era più facile odiare e provare rancore verso qualcuno, mosso magari dalla paura, piuttosto che sforzarsi di accettarlo. Non avevano importanza i miei sentimenti, anzi se riuscivano ad annientarmi era meglio.
Io ero nata, e per questo condannata.
Ora toccava a me scegliere. Potevo provare anch’io rancore e odio verso chi mi maltrattava, verso chi mi feriva… verso tutti.
No! Non volevo.
Sarebbe stato troppo facile scegliere quella strada. Che senso avrebbe avuto farsi trascinare dall’odio e dal rancore? Loro avevano deciso di seguire quella strada, ma se mi consideravano davvero così diversa, allora io sarei stata diversa! Decisi di provare l’altra possibilità, quella che tutti loro, che io consideravo uguali, avevano ignorato. Io invece volevo intraprendere la strada più dura, quella che sicuramente mi avrebbe fatto soffrire ancora. Avrei lottato con tutta me stessa, cercando di cambiare e migliorare le cose, per riuscire a dimostrare il mio valore, e soprattutto che, se anche ero stata concepita per sbaglio, la mia esistenza non sarebbe stata inutile, e forse un giorno m’avrebbero accettato…
Allora mi voltai e incominciai a ripercorrere lentamente la strada da cui ero venuta, diretta in città. Finalmente mi sentivo pronta ad affrontare orgogliosa la mia diversità.

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