TecnoMagia
di Andrè Casalis
Curiosità.
Tutti gli sguardi che gli scivolavano addosso trasudavano disgustosa curiosità. Staccò la mano destra dalla sbarra di sostegno, sostituendola con la sinistra, e si accarezzò la testa, assolutamente liscia. Le dita cercarono le linee del tatuaggio, appena in rilievo, e le seguirono per qualche tratto; un focus appariscente ed ostentato. Decisamente appropriato. Assecondò la curva del tram a levitazione spostando inconsapevolmente il peso da una gamba all'altra e portò la mano a sistemarsi le lenti scure; gli occhi non si staccarono mai dalla donna seduta a lato della porta.
L'aveva notata subito, mentre lei sembrava non aver neanche visto quell'uomo alto più di due metri. Era il prototipo della donna sostenuta, il tipo di femmina algido ed apparentemente imperturbabile che aveva il potere di eccitarlo tanto.
La settimana precedente ne aveva trovata una uguale; lo aveva chiamato "bruto", aveva gridato, aveva attivato l'incantesimo di allarme sonoro. I giornali avevano titolato, rigorosamente a pagina dodici: "MagiPunk violenta impiegata".
L'uomo si leccò avidamente le labbra; il suo sguardo oltrepassò la donna per contemplare ciò che le avrebbe fatto, se solo... Il sibilo leggero delle porte che tornavano a chiudersi lo riportò alla realtà. Era scesa. Merda.
Cinzia si fece largo tra la folla, maledicendo mentalmente quanti sembravano avanzare come animali al pascolo. L'umanità aveva sperimentato secoli di progresso tecnologico, aveva scoperto la ruota, il fuoco, l'elettricità, il cibo precotto e la magia, e niente di tutto questo era riuscito a debellare la stupidità. Inconsapevolmente, come sempre quando era sovrappensiero, sollevò una mano e sfiorò la spilla che le avrebbe fatto da focus per tutto il resto della settimana. Le piaceva variare spesso e, grazie al suo lavoro, poteva farlo senza dissanguare il suo conto in banca. Sorrise involontariamente mentre concentrava la propria volontà per interagire con il gioiello e selezionare il termine d'arrivo; non riuscirci, oltrepassare semplicemente la luminosità azzurrina che riempiva l’anello metallico e ritrovarsi dall'altra parte, fare stepping, in una parola, era diventato la nuova vergogna sociale. Si accorse di essere arrivata a destinazione ancor prima di riaprire gli occhi, involontariamente chiusi: la temperatura glaciale dell'aria condizionata e l'odore di plastica disinfettata potevano appartenere solo al laboratorio, la sua seconda casa.
Aveva appena finito di scambiare i rituali cenni di saluto che scandivano il suo percorso fino agli spogliatoi e ancora non aveva potuto indossare il camice; la parete, in un tempo troppo rapido perché potesse anche solo chiudere gli occhi, si fessurò rumorosamente aprendo squarci di una luminosità abbagliante. La vampata di calore sciolse il metallo degli armadietti e l'onda d'urto subito successiva ridusse in frammenti persino il cemento armato. Un istante più tardi i sistemi di sicurezza si attivarono sigillando i laboratori dietro una barriera violetta.
L'attacco non si fermò: sfere infuocate, fulmini, lampi di colori che non dovevano neanche possedere un nome martellarono senza posa lo scudo, portando al limite le bobine di dissipazione che vi erano collegate. Cinquantacinque secondi di grida e panico più tardi, l’ultima difesa collassava.
La guerra dei maghi era appena iniziata.

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