Yatza beah mighna ara’th…
di Mattia Benci e Sara Toni
Izael si era trattenuta al tavolo della taverna nonostante i suoi commilitoni e i suoi sottoposti fossero già in branda. La sala comune era vuota e lei era sola in compagnia dei tarli nel tavolo. L’oste riordinava pigramente le stoviglie poco distante, alle sue spalle. Ella non vi badava: preparava mentalmente il rapporto al comandante fissato per l’indomani. Era turbata al pensiero di dover denunciare un suo superiore, accusandolo del più infamante dei reati di guerra: il tradimento. Egli aveva venduto la propria patria ed il proprio onore agli empi adoratori di Deva, la dea ebbra di sangue, il cui danaro insanguinato aveva permesso al nemico di giungere sino alle mura di Arahan’Itze. La sua terza e ultima birra era quasi terminata quando udì il taverniere poggiare bruscamente un boccale sul bancone e allontanarsi con passi affrettati dalla sala. Si voltò distrattamente a guardare. Ma i suoi occhi altro non videro che gocce di sangue che schizzavano davanti a lei: la guancia cominciò a dolerle mentre uno stiletto si conficcava nel legno del tavolo alle sue spalle. Istintivamente rotolò via da dove si trovava e, rialzandosi, snudò la lama dal fodero. A fronteggiare la sua guardia vi era un uomo: “Avrei dovuto ammazzare l’oste per primo…” disse con tono sprezzante. Izael si preparò alla difesa ma quando il primo colpo la raggiunse non era pronta ed il suo braccio prese a sanguinare. Priva di corazza e preda dei fumi dell’alcol, la sua solitamente impeccabile guardia cominciò presto a vacillare sotto la fulminea tempesta di formidabili e chirurgiche coltellate portate dal suo aggressore. La perdita di sangue che ruscellava dalla ferita le annebbiava la vista. Bloccò l’ennesimo attacco, forse l’ultimo che avrebbe potuto respingere, poi l’arma le sfuggì di mano. Fece tutto ciò che le rimaneva da fare: sferrò un poderoso calcio all’avversario che, miracolosamente colpito, rovinò a terra. Izael doveva trovare un’arma: fu allora che vide lo stiletto che per poco non l’aveva uccisa. L’afferrò e si gettò sul nemico immobilizzandolo tranciandone repentinamente i tendini delle mani. La donna portò poi la lama alla gola di lui. Entrambi ansimavano per dolore e fatica. Il pugnale del suo assalitore ora minacciava di sgozzare il suo proprietario. Questo non pareva turbarlo ed egli parlò nuovamente ghignando: “Sono solo un messaggero, Izael”. “Non ho mai veduto nessuno recapitare messaggi in questo modo!”. L’uomo la ignorò: “Yatza beah mighna ara’th…” disse lui: “La morte ora cammina al tuo fianco e guarda con occhi malevoli coloro che ti accompagnano… Sei un cadavere che cammina ora!”. Il labbro di lei si mosse nervoso. Irata rispose: “Sono in buona compagnia: ma tu non camminerai con me…” e gli aprì la gola.

Nella sua tenda, ella rifletteva sulle parole dell’assassino: “Yatza beah mighna ara’th…”. L’ordine del comando che stringeva in mano la condannava praticamente a morte dietro le linee nemiche. La stavano consegnando alla tenebrosa spasimante; la malevola amante di ogni creatura vivente. Ma Izael era un’amante capricciosa e non le avrebbe concesso facilmente le sue virtù…

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