Un giorno sì, un giorno no
di Irene Mauriello
Successe davanti alla vetrina della pasticceria “Amore”, quella all’angolo con il corso sul quale c’è mercato, un giorno sì e uno no.
Teresa –abitualmente- osservava con le braccia incrociate, a difendersi, il vassoio di chantilly stracarichi di panna montata.
Entro? Si domandava. No, non lo faccio. Si rispondeva.
E poi?
Poi alzava lo sguardo, indietreggiava analizzandosi, in tutta la sua magnificenza pesante novantasette chili e quattrocento grammi a volte, novantasette chili e cinquecento grammi più spesso.
Ma che cosa cambia, se non entro. Pensava per ultimo.
Così entrava e si comperava mezzo chilo di pasticcini che le impacchettavano con cura.
Uscendo, veloce come una ladra, eran sufficienti cinque passi perché, dentro la sua bocca, fossero spariti almeno altrettanti dolcetti.
Sgnec: suono di crema schiacciata dal palato, scoppio di bignè.
Così trotterellava verso casa: nonostante tutto agile, indotta da un senso di colpa simile agli spintoni sui tram affollati.
Successe lì davanti , all’angolo con il corso sul quale c’è mercato un giorno sì e uno no.
Indietreggiò ma, la sua immagine riflessa , non fu poi così chiara perché, all’interno del locale, qualcuno, posto nella sua stessa posizione, la stava fissando con attenzione, regalandole una gioia.
Sembrava un attore di Hollywood: ammiccante, tenebroso, brizzolato, affascinante.
Rimaneva proprio così: ammiccante-tenebroso-brizzolato-affascinante, a braccia incrociate come lei.
Allora Teresa sporse il viso, avvicinandolo alla trasparente lucidità che l’attraeva, rimanendo a labbra schiuse nel vederlo mentre, con le quattro dita della mano, piegate a mo’ di saluto, l’invitava –nequivocabilmente- ad entrare: trasalì e, nell’impeto, le guance ballonzolarono rosse, timide, accaldate; guardò a sinistra prima, a destra poi: finalmente liberò la mano dall’intreccio delle braccia e l’avvicino per spingere l’uscio.
Len-tis-si-ma-men-te!
Fu investita da una fragranza di muschio e patchouli: freschezza di vento e carezza di primavera.
Prese il palmo che le veniva teso e lo strinse con vigore: naturalmente.
Il negozio non esisteva più: al suo posto un bosco costruito per lei, composto di cinguettii e frinii , scrosciare di cascatelle e bagliori tra il fitto, umido fogliame.
Tenne il palmo che le veniva teso e lo strinse con maggior vigore: naturalmente.
E naturalmente corse tra gli alberi, a piedi nudi, su quell’erba fresca ed accogliente, spronata dal sorriso che ogni tanto lui le rivolgeva, voltandosi.
“Pesche, peschee!” la voce del bancarolo la sorprese sul marciapiedi: non sentì la necessità di riguardare verso la pasticceria, soltanto il bisogno di filare verso casa. Cercando di far passare inosservati i piedi senza scarpe.
La sera, la bilancia, segnava novantasette chili novantasette.
Così successe, per tre mesi: un giorno sì, uno no.
Ma, terminata l’estate, la vetrina apparve muta: saracinesca serrata, insegna smantellata.
Non fu delusa né triste: si precipitò verso una bilancia pubblica, sorridendo.
Il tagliando che segnava il peso volò a terra, come sospinto da una brezza anomala.
“Forse ha perso questo…” le disse una voce sensuale e lieta.
Teresa lesse sessanta chili sessanta, prima di alzare lo sguardo, ringraziare ed ammirare quel bel cavaliere -
ammiccante, tenebroso, brizzolato, affascinante- che le stava di fronte.

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