Il banchetto
di Gabriele Gino Ninci

I due guerrieri camminavano lentamente in circolo, senza distogliere un solo istante gli occhi l’uno dall’altro. Entrambi indossavano una pesante armatura, portavano al braccio sinistro uno scudo ed impugnavano nella destra una lunga spada d’acciaio.

L’intruso recava sull’armatura scintillante l’emblema della sua casata, una torre circondata da rose, e l’emblema del suo re, un sole splendente contornato da dieci spade. Gli stessi emblemi si ritrovavano sullo scudo e sul mantello, che adesso giaceva a terra dietro di lui, piegato e riposto prima che il duello iniziasse.
Il suo avversario, il campione della regina, al contrario non recava stemmi di sorta. Aveva da tempo rinnegato le proprie origini, ora l’unico simbolo che esponeva era quello della nuova regina cui aveva giurato fedeltà, il semplice colore nero. Nera era l’armatura che lo copriva da capo a piedi, nero era il mantello che un servitore impassibile gli teneva tra le braccia, nero lo scudo che portava legato all’avambraccio sinistro. Nera era la lama che faceva ondeggiare sinuosamente nella mano destra.

Il duello di sguardi si chiuse con un nulla di fatto, nessuno dei due contendenti permise ad alcuna indecisione o timore di affiorare.
Fu il campione della regina a prodursi nel primo attacco, muovendo un passo in avanti ed abbozzando un affondo con la spada. L’avversario lo evitò facilmente compiendo un salto indietro per poi contrattaccare con un fendente prontamente bloccato dalla lama nera, salita ad intercettare il colpo.
Non una parola usciva dalle bocche dei due contendenti.
Il tempo delle parole era terminato quando la regina aveva ordinato a Dyrit di duellare con il cavaliere giunto da lontano per ucciderla. Il suo campione non aveva posto alcuna domanda od obiezione, si era limitato ad annuire chinando il capo al volere della sua padrona ed era entrato nello spiazzo di terra battuta utilizzato come arena in situazioni del genere.

I due cavalieri incrociarono più volte le spade, in un fitto scambio di colpi dal quale entrambi uscirono con alcune leggere ferite.
Ma se le ferite erano di poco conto, la lama nera che aveva assaggiato il sangue del nemico ora brillava di un’opaca lucentezza. Come animato da tale lucentezza, Dyrit si produsse in un furioso attacco bloccato faticosamente con la spada e lo scudo dal suo avversario.
Ad ogni colpo la lama pareva acquistare velocità e precisione, oltre che potenza.

Dyrit si voltò verso la sua regina.
Lei, avvolta in vesti nere che parevano agitate da un vento innaturale, mosse il pallido volto in un cenno di assenso. Il campione fece partire un rapido fendente, provocando in reazione il tentativo di parata da parte del suo avversario. Repentinamente cambiò la direzione del colpo, che si trasformò in un affondo talmente rapido da non lasciare scampo al cavaliere.
La spada gli trapassò armatura e petto, conficcandosi nel suo corpo morente.

La regina annuì compiaciuta, sorridendo malvagiamente.
Mostrati i canini appuntiti al suo campione, si avvicinò al corpo sanguinante dell’uomo moribondo chinandosi su di lui per cibarsene.
Dyrit rimase immobile a fissare quel terrificante banchetto.

Commenta questo racconto