L'ultimo canto di Alcesti
di Paolo Capponi

Il mare intonava il suo scrosciante ritmo e nel profumo della brezza salmastra Alcesti passegiava silenziosa. Spumose le onde si accavallavano allo spirar del vento e così anche la veste cerulea ed i lunghi capelli corvini.
Si fermò. Gli occhi scuri sfidarono l’orizzonte dipinto di luci rosate ed abbracciarono in un solo sguardo, profondo e consapevole, l’indicibile maestosità dell’infinito; un dolce bagliore vitale le ammorbidiva i tratti, ancora così giovani e tenui, come una foglia di primavera.
Il Sole stava annegando dietro il rogo vespertino e tutto il cielo sembrava quasi condensarsi sopra di lei, diventando solido e greve. <<Chissà fra quanto tramonterà?>> pensò fra sé, senza più la cognizione del tempo <<Chissà se potrò vederlo?>> Sulle sue labbra ancora pulsava il sapore dell’ultimo bacio del suo Admeto, tra le sue dita scivolava ancora l’aroma dei capelli dei suoi bambini, accarezzati per l’ultima volta. Un ultimo fugace sguardo alla sua dimora: era come partire per un lungo viaggio, un addio non più doloroso di un arrivederci e lei stessa non riusciva ancora a realizzare in cuor suo quale fosse l’entità dell’evento.
Ricordava benissimo le parole dell’Oracolo: Admeto doveva morire. Solo gli dei avevano potuto contare tutte le sue lacrime, pesare il suo dolore e comprendere poi la gioia, quando si era profilata per loro una soluzione.
<<Andrò io al tuo posto!>> l’aveva detto quasi senza pensarci, immersa negli occhi del suo sposo, stretta fra le sue braccia.
Ed ora era in riva al mare, nel profumo acre della brezza salmastra.
Si guardò intorno: silenzio e foschia soltanto. Non c’era tristezza in lei: in un certo senso, se ne stupì. <<Dovrei essere triste al momento della mia morte,>> disse fra sé. Scosse il capo sorridendo <<Admeto, prenditi cura dei bambini. Ti amo.>> Si sentì improvvisamente leggera, come se il suo corpo fosse diventato evanescente. Ecco, stava partendo per l’Aldilà. Sorrise: era pronta.
Iniziò a cantare: la sua voce si librò nell’aria come una scia di petali bianchi, danzanti in mille volute e le note della melodia solcarono le onde, bagnandosi della loro spuma; lievi volarono fino alle tende delle finestre mosse dal vento, dove Admeto sedeva insieme ai bambini, senza piangere, per far forza ed essere di riferimento ai figli.
Quando il canto entrò nella stanza, suonato dal vento come da flauti invisibili, scoppiò in lacrime e non poté più trattenere il dolore che dilagò travolgendo ogni emozione.
<<Alcesti,>> mormorò ed immediatamente si alzò correndo verso la finestra. L’avrebbe rivista un’ultima volta, o forse il Destino aveva avuto compassione e l’aveva lasciata andare.
Ma la riva del mare era vuota ed il vento ormai riecheggiava solo del dondolante scroscio delle onde, misto alle ultime e più rarefatte note di un canto perduto per sempre. E due impronte andavano svanendo nella sabbia, in riva al mare, nel profumo lontano della brezza salmastra.

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