L'elfo fratello
di Deborah Scanavino

Marica stava rigida sulla sua sedia a rotelle. Le labbra chiuse, lo sguardo sottile fermo nel vuoto. Le braccia ricadevano pesanti lungo il corpo, così come le gambe, ancora faticosamente capaci di camminare e vincere una forza di gravità mille volte più potente.
Ma lei ormai stava sempre inchiodata lì. Non voleva andare da nessuna parte. Non desiderava più niente se non quel nulla assoluto e immobile intorno a sé.

Ma non era stato sempre così. C’era stato un tempo in cui c’era il sole nella sua vita.
Il suo ultimo giorno di luce era stato dieci anni prima, a Kew Gardens.
Seduta sulla riva del laghetto artificiale, assaporava un’atmosfera di strana tranquillità in mezzo a piante ed alberi provenienti da ogni angolo del pianeta, costretti ad un assurdo e lontano vegetare dentro al più prestigioso parco di Londra. Marica aveva fra le mani un testo di filosofia e nel cuore un mucchio di sogni che, se possibile, erano ancora più evanescenti e metafisici del suo libro.
Mentre leggeva, uno scoiattolino grigio le venne incontro, la guardò e fuggì. Non seppe mai spiegarsi perché, ma lo seguì come avrebbe fatto una bambina.
Lo rincorse attraverso il giardino dei bambù, oltre l’albero dei tulipani e sotto i rododendri, fino a quando la bestiolina non sparì in cima ad un cedro cinese.
Marica buttò a terra un biscotto e si sedette poco lontano. Sentì un fruscio e vide una ragazza con i capelli rossi e strane orecchie a punta. Raccolse il biscotto di Marica e lo appoggiò su un ramo.
“Ciao” disse.
“Conosci lo scoiattolo?” chiese Marica. E in quel momento la domanda pareva perfettamente logica.
“È mio fratello: sai, per via del contratto…” rispose la creatura. C’era una bella sfumatura cinabro nei suoi occhi.
“Che contratto?” chiese Marica.
“Noi elfi fratelli possiamo realizzare un desiderio, purché sia giusto e possibile. Purtroppo quasi mai il primo desiderio dalle persone lo è”.
“Non mi sembra difficile esprimere un desiderio giusto e possibile…” commentò Marica.
“Vedrai…” profetizzò la creatura dai capelli rossi.
Marica espresse il suo desiderio: erano tre parole.
“Mi dispiace, – sentenziò con imbarazzo l’elfo fratello -. Non posso creare vite che non esisteranno mai. Non è un desiderio possibile”.
“Non ti credo” vomitò Marica.
“Mi dispiace” ripeté, la voce aveva perso il suo tono squillante.
“Se ciò che dici è vero allora voglio soltanto morire” mormorò piano la ragazza.
“Non posso distruggere vite. Non è un desiderio giusto” spiegò l’elfo fratello.
“In questo caso non voglio più nulla. Desidero soltanto non desiderare” bisbigliò vuota.
“Che sia” fu la risposta.


E piano piano ogni progetto, sogno e desiderio svanì dall’anima e dalla testa di Marica, disfatto come nebbia al sole. Per primo morì il desiderio di sorridere. Poi tutti gli altri, uno alla volta, si affievolirono, scomparirono. Smise di guardare, di parlare, di muoversi. Smise di credere. E infine smise di amare.

Ora in Marica rimaneva solo un cuore che batteva impercettibile dentro un respiro immobile. Non desiderava nemmeno più morire.

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