La festa del raccolto
di Giuseppe Picciariello

Pioggia e nebbia, sul cimitero di Oxwich.
Il freddo mi azzanna le membra. Sto tremando. Milioni di case, laggiù, i camini fumanti, la calda armonia di un giorno di festa. Harvest festival, la festa del raccolto. Immagino graziose bambole di granturco appese sulle finestre, sui rami degli alberi, dappertutto.
La gente sarebbe in piazza, a quest’ora, se la notte non fosse così scura, così buia, così dannatamente ostile. Una notte da lupi. La festa sarà rimandata… forse.
Mi volto di scatto. Un sinistro fruscio, quasi impercettibile, più a nord nella boscaglia. Le rovine del castello incombono cupe alla luce elettrica dei lampi. Non c’è anima viva, solo un tetro, inquieto silenzio... La sagoma medievale mi provoca un brivido latente, sotto la pesante pelliccia d’orso.
La vecchia pergamena parla chiaro: devo restare immobile, seduto sul terreno umido, adagiato contro la solida imponenza dell’Abete Millenario. Ma possibile? Insomma, me l’ha data Jack il Pazzo. Un vecchio lupo di mare che ora rischia di affogare nel suo whiskey. Ma se fosse vero, santi numi!, perché lui non è al mio fianco, a sfuggire alla fine del mondo?
“Non ho più niente a cui tenga davvero, su questa terra!”, è solito berciare, tra un bicchiere e l’altro. Sarà!
Mi stringo nella pelliccia. Il vento si è fatto più intenso, un abbraccio gelido e oscuro. Avverto un leggero tremolio poco sotto terra. Alzo il capo di scatto. Qualcosa si sta muovendo, laggiù.
Nere zolle di terra volano via. Un vociare basso, atavico.
Una nostalgica canzoncina: “… Quindici uomini, quindici uomini sulla cassa del morto…”
Oddio, ma quello è un braccio! E quello è un uncino!
Salgono dalla terra, cantando. È la mitica ciurma del capitano Henry John Morgan, quella della profezia e della ballata gallese. Il Re senza Corona.
Chiudo gli occhi. Non voglio assistere alla fine del mio mondo…

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