La Roccaforte di Cristallo
di Daniele Maggione

Tutto era immobile, ghiacciato come nell’attimo stesso della creazione; le enormi stalattiti che pendevano dal soffitto sembravano cambiare colore a seconda dei fremiti delle anime presenti in quel luogo.
Il ragazzo dal mantello di pelliccia si muoveva circospetto nella foresta di ghiaccio, stringendosi nella giubba foderata. Non che amasse il caldo; in effetti ad Alastyn piaceva l’inverno, con le sue lunghe notti ed il cielo costellato da nubi d’argento brunito.
La collana dorata pendeva fuori della giubba, mostrando il pendente di rubino.
Lo strinse con la mano guantata mentre si addentrava tra le colonne della grande sala; il calore che scivolava nella gemma alleviava le dolorose fitte alle dita quasi congelate. La polvere e la calce rendevano il ghiaccio di un colore biancastro, innaturale. Così come innaturale era quel luogo empio, in cui ciò che era stato si trovava cristallizzato per sempre; ciò che un tempo fu un grandioso salone, con ricchi arazzi e lunghi tappeti ricamati, giaceva ora avvolto dal gelo eterno.
Superò la sala del trono; enormi spine di ghiaccio spuntavano dal terreno, rivolte verso l’arco da cui era entrato. Ormai era vicino; l’esplosione di gelo, l’inverno eterno che aveva investito ogni cosa in quel castello, era nato in quel luogo.
Scese le strette scale rese scivolose dalla brina e trovò infine l’altare.
Alastyn ammirò affascinato la grande sala; stalattiti color acquamarina torreggiavano dal soffitto, così imponenti che sembrava sarebbero rimaste eterne guardiane di quel luogo. Camminando verso il centro della stanza vide le statue, forme di cristallo chinate in preghiera; il Re si trovava ancora davanti all'altare, freddo ed immobile nel suo ultimo istante, nell’invocazione della Signora dell’Inverno.
Alastyn si tolse la collana con uno strattone e si avvicinò. Cosa aveva pensato quel re folle quando decise di richiamare la fata dei ghiacci? Ormai non importava più, presto la magia del ciondolo avrebbe messo fine alla maledizione.
Sussultò quando una mano gelida gli accarezzò la spalla. Si girò di scatto, una giovane donna dalla pelle candida come la neve era in piedi dietro di lui; era nuda, coperta solo dai lunghi capelli argentei, gli occhi color zaffiro ed il viso delicato come una stella alpina appena dischiusa. Era la creatura più bella che avesse mai incontrato.
Alastyn fece per parlare, quando la ragazza gli mise l’indice sulla bocca; aveva un sapore dolce, come un fiocco di neve che si posa delicato sulle labbra. Lo abbracciò e, senza dire una parola, il sorriso si schiuse in un bacio. Era freddo, ma non gli importava, aveva il sapore dell’ambrosia. Il rubino scivolò dalla sua mano e cadde sul terreno ghiacciato, sciogliendo ciò che stava intorno. Non gli importava più di nulla; era come volare nel cielo chiaro delle notti d’inverno, cullato dai venti freddi che scivolano sinuosi sui picchi montani.

Nel villaggio in prossimità del castello i più anziani raccontano ancor oggi la storia degli amanti di cristallo. Narrano che in una sala della roccaforte ghiacciata si trovi la statua di un giovane, stretto nell’eterno bacio della fata dell’Inverno.

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