Un lavoro come un altro
di Andrea Ascari
Rilasso i muscoli.
Una preghiera.
Sono pronto.

La grande bestia mi fronteggia sbuffando, goffa per l’inattività, ma pur sempre letale.
Cammino in cerchio, la studio e lei ricambia.
L’armatura geme a ogni movimento, le lame tintinnano; scatto in avanti.

La bestia si alza sulle zampe posteriori; stride il suo ululato per spaventarmi, ma fa solo il mio gioco.
Alzo i bracciali ricoperti di scaglie argentee, i raggi del sole diventano dardi per gli occhi della lucertola.
Sono a pochi passi dal suo ventre ed estraggo il pugnale, fisso il punto da colpire quando la bestia
con agilità inaspettata ruota portandomi in collisione con la coda corazzata.

Schiena a terra sento lo spostamento d’aria pochi peli dal viso; rotolo portandomi fuori distanza, il rettile mi cerca.

Vernice brillante copre tutta l’area, insieme a scaglie di metallo, il sole all’apice fa il resto.
Non mi vede ed è frustrata.
Dilata le narici per captare sfumature di odori, ma sente solo il tanfo di letame che ho disseminato ovunque.
La sua fronte si contrae, scopre la membrana del suo terzo occhio… cerca il mio calore… meno male che il letame fermenta!

Il mio avversario urla di disprezzo, gonfia la gola in un gesto troppo caratteristico per essere ignorato.
Un rumore di tuono esplode dalla bocca dell’animale, inarca il collo e apre le fauci soffiando ad arco gelatina appiccicosa. Mi colpisce in pieno.

Un breve attimo di panico, poi corro verso il bordo del perimetro.
La gelatina sul terreno reagisce diventando fumo giallo e denso, la sterpaglia brucia.
Il mio viso scoppietta di vesciche ma il dolore è coperto dalle droghe.
Mi getto su un sacco squarciato di polvere e la gelatina reagisce all’istante in schiuma inerte.
Il fumo si spande, coperto dalla foschia riparto all’attacco.
La mascella saetta verso la mia figura mangiando solo riccioli di nebbia.

Mi abbasso in tempo e con le braccia cingo il collo enorme.
Scatto con le gambe e di colpo le sono sul dorso.
Gli artigli alle sommità delle ali mi cercano frenetici.
Pianto il rampino tra le scaglie della schiena e mi getto di lato.

Lo slancio mi porta in esterno e poi subito verso il ventre, spiano il coltello.
Colpi secchi sulle scaglie perlacee, dai fori erutta liquido caldo e denso.
Il grande animale muggisce lamentoso, muove convulsamente zampe e ali mentre scappo, ma rimane a terra.
Mi riconosce come vincitore.

Lesto raggiungo il cancello, molti uomini manovrano tronchi e catene sbarrando il serraglio.
Un apprendista si fa vicino con un boccale e si occupa del primo soccorso.

Fisso ancora la bellissima creatura ora arrotolata nella coda.
Se non li castriamo sarebbero ingovernabili, ma non è solo questo…
togliendoli il sesso, togliamo loro senno e lucidità, altrimenti sarebbero troppo intelligenti per farsi cavalcare da noi vermiciattoli.
Percepisco l’angoscia del ragazzo nel realizzare che un giorno dovrà cimentarsi nelle mie prodezze… collezionare cicatrici fantasiose su tutto il corpo e un visino da incubo.

Però dopotutto questo è un mestiere come un altro.

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