Nel villaggio della gente dalla lunga vita, chi raccoglierà la terra calpestata dai miei passi?
di Andrea Ascari

Lui era tante cose,
un padre, un contadino, un marito… un nonno.
Ma davanti allo specchio del suo essere, lui era un pescatore.

Impiegava ore ed ore per preparare le esche, magici artefatti per irretire i veloci animali d’argento.
Nei luoghi dove non potevo entrare se non solo con l’immaginazione, la solitudine era la sua compagna preferita.
Poi partiva con la grande borsa di tela, la canna sulla spalla;
Il passo pesante, la tuta logora.
Felice.

A volte lo seguivo speranzoso, ma il timore mi teneva a distanza.
Al ritorno sempre mi accarezzava il viso con le grandi mani ruvide.

Solo alla fine mi chiamò a sé e mi narrò la storia.

Osserva oltre la coltre di quei nembi, mi disse, osserva senza la pretesa di guardare.
Si erge il castello di un demone, uno dei re della morte che camminano su questa terra.
Un re che volge spesso il suo sguardo su di noi.
Prende con sé chi vuole, e non so se per capriccio o per benevolenza.

Quello che so è che gli piacciono i regali preziosi,
per averli è disposto a trascorrere intere giornate indugiando paziente.
Ho trascorso anni e anni a pescare per lui ciò che il fiume gelosamente conserva.
Pesco per lui ed egli mi tiene compagnia parlando del mondo…

Mentre chiacchiera con me non prende nessuno nel suo castello.

All’inizio con le esche degli uomini ho pescato per lui i figli del fiume più belli e fieri, ma non bastava.
Con esche fatte di lingua dei rospi ho pescato sassi colorati e rotondi, i capolavori fini e pregiati forgiati dalla corrente, ma presto si è stancato.
Con esche fatte di seta di ragno ho pescato le increspature irte ma delicate delle onde.
Con i timpani del gufo ho pescato il pianto delle vittime del fiume.
Con il cuore di cervo l’amore mormorato delle giovani lavandaie.

Ho raccolto per lui tutto, fino alla fine, e ora mi appresto a cogliere l’ultimo dono…
trascorrendo tanto tempo in compagnia della morte, a mano a mano mi è entrata dentro.


Ed ecco arrivare il demone con passo leggero.
Mio signore, ho pescato il tramonto, il bacio del sole sulla superficie del fiume.
È dentro i mi miei occhi in questo momento, lo porterò io stesso al tuo castello.


In riva al nastro di argento lui si era spento.


Mio caro ragazzo, disse il re della morte dallo sguardo che abbracciava mille colline, tuo nonno sarà un aiuto prezioso.
Adesso devo andare, troppo a lungo mi sono lasciato a facezie.

Mio re!
Dissi deciso.
Afferravo, stringendo fino a farmi sanguinare la mano, la terra calpestata dai passi del pescatore.
Sono sicuro che al tuo castello mancano maschere, scrigni degli stati d’animo delle persone.
Io posso farle per te, posso intrappolare la gioia, il coraggio, l’opulenza e anche la pazzia.

Interessante, disse il re.

Resta con me mentre preparo la prima,
dissi piangendo.

E ora sono qui, faccio maschere per la morte,
nel villaggio della gente dalla lunga vita.

Commenta questo racconto