Il regno del Nero
di Giovanni Buzi

Nero, nero, mi faccio trascinare dal nero, m’abbandono ai suoi abbracci vellutati, gelidi come gli abissi dell’oceano. E tutto intorno a me fluttua silenzioso, in questo magma fluido. Avverto la presenza di materia raggrumata, molle, vischiosa che consuma il suo tepore perdendosi lontano. Spazi vuoti e infiniti; ne sono cosciente, sono ormai nel Regno del Nero.
La materia si rarefà, si scioglie e alla viscosità seguono ventate di vuoti, raffiche d’assenze finché, aereo, galleggio in uno spazio senza orizzonte né stelle. Non più sensazioni di freddo né tepore, solo una tregua dei sensi, una parentesi. Il vento mi scivola sulla pelle ma resto insensibile, indovino la sua presenza da un fischio continuo, sordo, monotono che poi s’affievolisce e scompare. Il Nero m’ha sommerso, invaso, è entrato nelle mie vene, nelle fibre dei miei muscoli. Quando affogherà anche quest’ultima fiammella di coscienza?...
Non avverto più l’essere trasportato, quel navigare che nella cecità era una sorta di consolazione. Quel fluttuare molle e invisibile che mi trascinava alla velocità della luce. La velocità, l’unica cosa che mi restava della luce!
E ancora questa tortura: il sentirsi il niente, essere il niente e continuare a pensare, a essere cosciente. Eppure, tutto intorno a me è sparito. Il Nero ha sciolto ogni molecola, l’ha inghiottita. Ha spento ogni colore, ogni bagliore, anche quei riflessi blu che per ultimi hanno resistito. Ha annullato ogni sensazione: il ruvido, il levigato, il soffice, il tagliente, il caldo, il freddo, l’amore, l’odio. Non riesco a odiare il Regno del Nero e non so amarlo.
Per un po’, ho visto i colori giocare con le tenebre; si divertivano ad accostarsi per far splendere la loro voce, ci scherzavano, celavano parte della loro energia per recuperarla rinvigorita in tonalità limpide e squillanti. Il Nero si lasciava fare finché, stanco, per malvagità o solamente per noia, ha dato una zampata da bestia selvaggia e ha cancellato ogni palpito di vita. Con due pennellate grasse ha divorato tutto e quella giungla di fruscii, verdi, arancio, scrosci d’acqua e canti d’uccelli che io sono stato s’è trasformata, in un batter d’ali, in un rogo di carboni spenti.
Fu così che mi sono ritrovato a vagare nello spazio gelido e fluttuante, fino a far completamente parte del suo Regno d’assenze e indifferenza. E ora avverto solo come una nostalgia...
Vasta luce che acceca l’orizzonte, il Nero m’ha sommerso, invaso.
Raffiche d’assenze, accordo di magica stabilità in mancanza d’ogni legge di gravità.
Abbracci vellutati, gelidi come gli abissi.
Geometrie cristalline senza peso, senza nome.
Quando affogherà anche quest’ultima mia fiammella di coscienza?
Un batter d’ali.

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