L'Arena
di Federico Grimaldi

C’è chi si è pisciato sotto, mentre stiamo qui ad aspettare. Il puzzo mi arriva forte, sale per le narici e mi colpisce dentro, in un’area indefinita fra gli occhi e il setto nasale. Molti tremano, qualcuno ha vomitato.
Io invece rimango fermo e fisso la grata alla mia destra, aspettando che si apra. Attraverso le sbarre vedo qualche raggio di sole filtrare, farsi largo attraverso la galleria in cui ci troviamo, fermarsi non troppo distante dai miei piedi.
Resisto in questa posizione per alcuni minuti, difficile contarli con precisione. La catena che ho attorno alla caviglia fa male, è troppo stretta: taglia la pelle e la segna, ma io traggo respiri profondi e non lascio che il dolore mi sconcentri. Resisto in questa posizione per alcuni minuti, difficile contarli con precisione. Poi sento un boato di voci, acclamazioni ed urla, e capisco che è arrivato il mio turno. La grata si alza, tre guardie entrano e si avvicinano a me. Una apre la catena, le altre due mi mettono in mano una spada ed una scudo. I loro volti sono simili, i loro occhi assenti, lontani: mi guardano appena, ed evitano di incrociare il mio sguardo.
Io sorrido, ed abbasso gli occhi per osservare la lama: è incrostata di sangue, avrebbe bisogno di essere affilata. Potrei usarla per provare ad avventarmi contro di loro, ma so che è inutile, e che bene o male mi ritroverei qui molto in fretta. Mi lascio quindi portare oltre la grata, senza che nessuno di loro mi dica una parola. Saliamo pochi scalini, e mi ritrovo nell’arena.
Appena salito vengo investito dalla luce del sole, così forte che devo socchiudere le palpebre. Le urla dagli spalti si fanno più forti, e il pubblico fischia, ride, batte i piedi per terra. Io li ignoro, come ignoro le guardie che si allontanano.
Piuttosto guardo il mio avversario, al centro dell’arena. Mi attende. E’ privo di armatura, ha giusto una spada ed uno scudo, proprio come me. Lentamente, inizio a camminare verso di lui, studiando il suo corpo, la sua posizione, il suo sguardo. Sento i miei piedi scalzi affondare leggermente nella sabbia calda, il mio sudore sull’elsa della spada, il peso dello scudo che grava sul mio braccio: i miei sensi sembrano alterati. Più definiti.
Strano: ad ogni passo che faccio mi rendo conto di non avere paura. Piuttosto quello che sento è un senso di stoica rassegnazione.
Ora che sono in prossimità del mio avversario lui inizia ad avvicinarsi a me, aumenta il passo, comincia una vera e propria corsa. Io mi fermo, piego le gambe prendendo posizione, e i nostri scudi cozzano con violenza: perdo l’equilibrio, cado sulla schiena. Lui non si lascia scappare l’occasione, e affonda la spada nel mio addome. Un dolore lancinante mi si scatena in tutto il corpo- Urlo. Lui estrae la lama, fa una giravolta e la fa cadere sul mio collo, quasi come se fosse un rituale.
Colpisce, e poi finisce tutto.
E’ rimasta solo cenere.

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