La Fine
di Marco Baggi

I pochi soldati superstiti se ne stavano immobili, ritti in cima al colle ingombro di cadaveri. Contemplavano rassegnati le immense forze nemiche, ormai tutte intorno a loro, che risalivano il pendio con tutta calma, sicure della vittoria. In alto, decine di avvoltoi pregustavano il lauto bottino.
Il comandate raccolse la lancia e si voltò verso i propri soldati, in attesa poco più indietro. Non riuscì a fissarli a lungo negli occhi. Era troppo dolorosa la vista di quei giovani volti, strappati precocemente alle loro famiglie per morire in un’assurda battaglia come quella. D’altronde, se si trovavano in una situazione tanto disperata, era soprattutto per colpa sua, per le scelte errate che avevano permesso agli orchi di sterminare il suo esercito. E questo lo tormentava nel profondo.
Gli orchi continuarono ad avanzare, lanciando grida terrificanti che riecheggiavano in tutta la vallata. Poco alla volta, passo dopo passo, stringevano in una morsa sempre più stretta gli sparuti difensori. Il comandante, viste le cattive condizioni degli uomini, valutò impossibile un’ulteriore difesa. Erano poco più di una decina, stanchi e feriti, con le corazze divelte e quasi senza armi.
Si augurò soltanto che la fine giungesse presto.
Poi, più forte di qualsiasi rumore, tornò il silenzio. Sotto di loro, le fila orche si erano arrestate di colpo, come d’incanto. Nessuno dei difensori proferì parola, quasi temesse d’infrangere quella magica quiete, nata sulle ceneri della battaglia. Il comandante inspirò a fondo, accogliendo dentro di sé un aria fina, stranamente libera dal fetore della morte, e lo giudicò un buon segno. Si concesse il lusso di sperare in qualcosa in più della fine onorevole sul campo di battaglia; forse i nemici gli avrebbero offerto un accordo, un lasciapassare per tornare a casa, o chissà cosa. Forse.
Un movimento tra le ultime file degli orchi attirò la sua attenzione. La massa scura dei combattenti si stava aprendo, per far posto a qualcuno o qualcosa, ma la distanza gli impedì di capire di cosa si trattava. Solo qualche voce sommessa interrompeva di tanto in tanto il silenzio, ormai tornato padrone della valle.
Quando gli ultimi raggi di sole illuminarono le corde degli archi, comprese finalmente le intenzioni degli avversari. Tutte le sue speranze caddero all’istante, come un castello di sabbia travolto dal mare, e si meravigliò di sé stesso per non averlo capito prima. Riuscì perfino a ridere della propria ingenuità; doveva saperlo che gli orchi non facevano mai prigionieri. Eppure c’era cascato.
Alla fine udì gli schiocchi, innumerevoli, infiniti, che annunciarono la partenza delle frecce. Mille dardi volarono impazziti nell’aria, all’unisono, bramosi del sangue degli uomini.
Fu come un vento forte, avanguardia di una tempesta ancora lontana. Un sibilo e un vento forte.
E ancora silenzio.

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