Io so
di Eleonora Rossetti
Fermati. Non proseguire. Ciò che sto scrivendo non è per te, ma per me. E’ paradossale che stia vergando queste righe in forma di lettera, anche perché non desidero che qualcuno la legga. Forse la distruggerò. Forse l’abbandonerò come l’ultimo respiro di un moribondo. Chissà.
Perché non mi dai retta, che tu possa essere maledetto?
Non illuderti: qui non troverai la cronaca della mia vita. Voglio solo scrivere per ripetere a me stesso che sto per morire per qualcosa che nessuno crede sia vero.
Sto aspettando che le guardie vengano a prendermi. Il boia è là fuori, ad affilare quell’ascia che si è abbattuta con violenza più e più volte su colli di uomini che si professavano innocenti. Ma le armi non ascoltano i pianti delle persone. Né, a volte, coloro che le impugnano.
Quanti, prima di me, hanno subito la stessa sorte?
Mi hanno condannato alla decapitazione per eresia. Già… perché per i sommi cultisti, il semplice atto di mettere a nudo la cruda verità equivale ad un sacrilegio.
Infami. Bastardi. Che possano essere dannati in questa vita, e in ogni altra possa esserci nei secoli a venire.
Ma io so. E nemmeno la morte riuscirà a strapparmi via questa consapevolezza.
Ero lì quando la radura dietro la collina si riempì della luce della luna. Ero lì quando qualcosa emerse dal suolo cominciando a danzare e cantando in una lingua impossibile da capire, con voci distorte che parevano provenire dagli abissi. In quel momento l’erba circostante si faceva di sangue, mentre il fuoco che ardeva al centro si sfaccettava di tinte cupe e violacee, divampando senza essere alimentato.
Erano ombre. Nere come una notte senza astri, simili ad esseri ammantati dalla tenebra. Ma non dimenticherò mai i loro occhi. Erano bianchi, vuoti, eppure terribili in quel volto quasi inesistente costellato di zanne.
Dèi, quanto sono stato stolto, accecato dall’ansia della scoperta.
Quando ho cercato di raccontare a qualcuno ciò a cui i miei occhi avevano assistito, non ottenni l’effetto sperato. O meglio, mi aspettavo tutto, tranne quella reazione. Ma in fondo, perché mi stupisco? La gente mormora. La gente sospetta. E le parole si trasformano, si trasfigurano in termini e significato finché non giungono alle orecchie dei potenti. E allora scatta l’accusa, poi la gabbia, e la condanna.
Condanna… per aver visto. E compreso. Ah, ma certo... meglio ignorare che sapere. Meglio cullarsi delle menzogne rassicuranti dei cultisti degli Dèi, ostinandosi ad affermare che le Tenebre non esistano.
Ma dov’erano gli Dèi, quella notte?
Li sento. Rumori di passi. Arrivano. E’ la mia ora.
Forse nessuno vedrà ciò di cui sono stato testimone, forse nessuno potrà sapere ciò che chiunque si sforza di negare anche a se stesso.
Forse tu, che mi leggi, aprirai gli occhi? Ne dubito. Probabilmente rimarrai uno di loro. Uno dei tanti che resteranno ignari di ciò che imperversa nel mondo, nascosto alla loro mente cieca.
E forse, in questo momento, loro stanno ridendo.
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