L'uomo e il drago
di Antonio Giordano

Non stelle nel cielo. Il dragone fendeva gli spazi, senza preclusioni di luce. Immobile nella buca, le mani sugli scalmi, l’uomo sembrava attendesse. Allungò le gambe, afferrò i remi e si diresse verso la riva. Il dragone lo seguiva, ne era certo. I muscoli che si gonfiavano sotto la maglietta, il fulgore degli occhi, non gli sarebbero serviti a nulla. La barca aveva speronato la sabbia. Bianchi e ignudi, due bambini sopraggiunti, attendevano ch’egli si accorgesse della loro presenza. Quando sospirò forte e alzò la testa, si precipitarono dentro la barca gridando e ridendo. Anch’egli rise. Accade talvolta che, immersi in un angolo di solitaria paura, tremiamo per dimensioni oscure finché un segno riempie l’angolo tetro, riportandoci a una vita di movimento.
Nel cielo il drago ghignava. Scoppi di risa e scrosci d’acqua li accolsero nell’antro, rischiarato da una luce pallida, proveniente da ignote fenditure.
“Stefano, Tarcisio”, chiamava l’uomo. I bambini si davano da fare per preparare il pasto, dopo essersi lavati e aver lavato il padre.
Piano calarono le tenebre ed essi disposero membra e spirito al sonno. Stranamente, il padre fu il primo ad addormentarsi; un sonno profondo e malato, una sorta di precipizio al quale aveva ceduto per stanchezza o per volontà di sottrarsi al pensiero.
Stefano e Tarcisio si levarono. I corpi biancheggiarono e si mossero verso l’uscita. La grotta restò vuota.. Quanto tempo passò? Chissà, forse una vita, breve o lunga, un tutto o un nulla, un’immagine o un insieme di sequenze.
L’uomo si girò,si svegliò di colpo e non trovò i figli. Agitato e convulso li chiamò, cercando un’uscita che non riusciva a ricordare. La terra ne ebbe pietà; gli offrì un respiro di luce e, finalmente, uscì.
Gli alberi gemevano come piegati da un vento di fuoco, gelido però come la luce di un’intrusa aurora boreale. Incurante degli spini, dei sassi, delle mille insidie, il padre si mise a correre all’impazzata, seguendo una direzione d’istinto che, pensava, non l’avrebbe tradito. “Stefano, Tarcisio!”. In fondo, in mezzo agli sterpi, lambiti dalle piante carnivore, Stefano e Tarcisio gli rimandarono la loro candida immagine. Li chiamò ancora con tutta la voce che aveva in corpo e con una rabbia di pianto.
A quel risonare sembrò che gli elementi, risvegliassero la loro cattiveria. Le piante carnivore aprirono le valve spinose, gli sterpi aguzzarono contro i corpicini glabri le punte velenose mentre sotto i loro piedi bollivano viscosità di sabbie mobili e fangose.
Fu allora che un crepitio, un bagliore, uno squarcio di rami, interruppe le grida e i pianti. Il dragone apparve. Appiattì il corpo nel terreno schiacciando le insidie e coprendo i pericoli, prese sulla groppa i due bambini e, con le ali da grosso pipistrello, fendette l’aria fino a portarli sopra, deponendoli al sicuro.
Erano salvi, ormai. Lo capì il padre e lo capirono i due fanciulli che corsero ridendo verso la grotta mentre l’uomo e il dragone, dopo essersi a lungo guardati, si riunirono, annullandosi in un abbraccio di morte.

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