Figlio di un Dio Maggiore
di Giancarlo Menichetti

Sono in galera.
Sono rinchiuso ormai da anni.
Mi hanno messo qua dentro perché amavo vagare nei boschi di quest’isola stuprando vergini e sventrando qualche ignaro passante.
Sono solo da anni, ma la solitudine non mi pesa, non mi pesa il silenzio che ho sempre osservato fin da appena nato, d’altronde non so parlare e se anche fosse non saprei proprio cosa dire.
Parlare con la gente…
Esseri inferiori che nemmeno concepiscono la mia esistenza!
Che si esprimono con quei loro strani ed indecifrabili grugniti.
Che mi giudicano un mostro e non si sono ancora accorti che io sono superiore a tutti loro, che sono il padrone di tutto, della vita e della morte, che sono il figlio di Dio!
Mi hanno rinchiuso qua dentro con l’inganno; in questa prigione che non ha sbarre né guardie, ma solo interminabili corridoi ed innumerevoli curve.
Forse speravano di confondermi, ma sanno anche loro che non è così.
Lo sanno perché lasciano sempre qualcosa per nutrirmi e, ogni tanto, regolarmente, mi mandano delle belle ragazze con cui mi posso sollazzare finché, stanco di loro, non le uccido in qualche modo.
Così va bene…
Così resterò qui dentro e non infesterò più i loro boschi e le loro assurde città.
Non esco più da qua dentro perché ci sto bene…
Perché la gente mi teme e mi rispetta per quello che sono: il figlio di Dio!



E questo è il mio tempio.
Ogni tanto qualche omuncolo prova l’impellente desiderio di misurarsi con me e si addentra nella mia nuova casa: nessuno ha mai fatto ritorno.
Si illudono di essere cacciatori, ma appena entrati capiscono di essere le mie nuove prede.
Fiuto da lontano la loro paura: è un odore acre e sgradevole che mi da energia e, quando li scovo, per loro non c’è scampo.
Oggi è uno di quei giorni.
Oggi qualcuno è venuto a trovarmi.
Lo sento.
Sento da lontano i suoi passi misurati, i suoi piedi che scivolano sul sagrato della mia chiesa senza sacerdoti.
Ma nell’aria c’è qualcosa di diverso: l’uomo ha paura, ma meno dei suoi predecessori.
Il suo odore è quasi buono: sembra quello del mare.
Poi sbuca fuori da un angolo e ci squadriamo.
Lo vedo vacillare davanti alla mia maestosità: così piccolo, con una spada che sembra uno stuzzicadenti e, stretto nell’altra mano, un filo rosso che sparisce allungandosi dietro una curva.
Eppure non indietreggia e non abbassa lo sguardo come fanno tutti: sarà interessante smembrarlo.
D’altronde non potrà essere altrimenti: per quanto coraggioso cosa potrà mai contro di me che sono il figlio di Dio?
Contro di me che sono il Minotauro!

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