La creatura del diavolo
di Maria Luisa Ferlisi

Ketty amava definirsi creatura della notte. Era vestita di stracci.
Non aveva paura. Viveva nelle fogne di una grande città come Londra.
Era stata abbandonata da piccola da una famiglia povera, con troppe
bocche da sfamare.
Aveva imparato a difendersi dai tanti derelitti come lei, e sputare
addosso a quanti la guardavano con una smorfia di disgusto per il suo
aspetto ripugnante.
La sua figura, oltre che ripugnante, era sinistra.
Viveva in una baracca fatta di cartoni, dove i suoi migliori compagni
erano i topi e gli scarafaggi.

Campava di elemosina, che gli veniva concessa facilmente, proprio per
allontanare dai negozi una simile creatura del diavolo.

Ben presto capì che la vera natura del suo animo era di una ferocia
inaudita, l’aveva sperimentata con i topi che infestavano la sua
baracca.



Con naturale sadismo infilzava gli occhi dei topi, dopo averli appesi
vivi ad un asse di legno, che faceva le funzioni di porta, quindi si
divertiva a piantare dei chiodi in parti non vitali per assistere alla
loro lenta agonia.

I puzzolenti cadaveri dei topi tappezzavano la sua fatiscente porta.

La sua sadica ferocia si estese a tutti gli animali.
Ma ancora non era sazia del sangue che inutilmente versava dei poveri
animali. La sua sete assassina era appena sbocciata.
Fu così che decise di provare con le persone, odiava con tutte le sue
forze il genere umano, soprattutto le donne; ne odiava la bellezza, l’
eleganza, i modi gentili.

Le uniche persone che accettava erano i derelitti e i delinquenti come
lei.

Tutto il resto del mondo per lei era solo spazzatura, indegna di
esistere.

La sua prima vittima fu una donna, la colpii l’eleganza dei lunghi
vestiti, i capelli lunghi raccolti con delle spille, ma soprattutto i
lineamenti dolci.

Complice la nebbia della città con un coltello puntato sul fianco la
trascinò fino alla sua baracca. Le fece togliere gli eleganti vestiti,
quindi la legò ad un palo. Le infilò due lunghe asticelle negli occhi:
a nulla valsero le suppliche della povera donna, anzi la divertivano,
più la supplicava, più rideva. La ferì in più parti del corpo, e ammirò
estasiata il sangue caldo e rosso sgorgare dalle ferite che scivolava a
terra formando un piccolo lago di sangue.
L’agonia della donna durò ore, le urla di dolore diventarono sempre
più deboli fino ad esalare l’ultimo respiro.

Ne uccise molte altre, sempre ammirando estasiata come la vita
lentamente abbandona il corpo.

Avrebbe continuato ad uccidere senza pietà alcuna.

L’ultima vittima, però, si era difesa.
Le aveva dato un morso, nel tentativo di difendersi, che le aveva
quasi spolpato un braccio.
Riuscì anche a raccogliere un pezzo di legno appuntito e con tutta la
forza della disperazione lo conficcò in un fianco della sua carnefice,
provocando uno squarcio da cui il sangue fluiva a fiotti.

Ketty riuscì ugualmente a completare la sua opera.

Solo che stavolta anche la sua vittima poteva godere nel vedere
esalare l’ultimo fiato alla sua seviziatrice.

Commenta questo racconto