La Sposa Ritrovata
di W.Mina.D. alias Maria Grazia Porceddu

La notte del mio diciassettesimo compleanno, fu l’ultima che vissi.
Colui che mi aveva scelto conosceva a fondo il mio animo. Uno spirito tormentato dal male di vivere ed in cui aveva trovato quell’insano anelito di eternità che evidentemente cercava. Mi aveva messo alla prova con caparbia e crudele ostinazione.
Sapevo di dover meritare quel dono. E ancor di più dimostrargli che una volta ricevuto, non l’avrei sprecato come già altri prima di me avevano fatto; ma fossi stata pronta a condividerlo pienamente con lui.
Quando Victor venne da me, in un tempo ed in un luogo non definiti, allora mi resi conto di quanto a lungo lo avessi atteso. Non avevo alcun timore, solo fretta di raggiungerlo nella sua immortalità. Lui possedeva la stessa corrotta bellezza di Lucifero dopo la caduta. Ed io volevo cadere nello stesso vuoto, con l’identica maledetta, consapevolezza.
“Catherine”.
La sua voce inconfondibile…. Mi aveva trovata.
Anche nella piena oscurità i suoi occhi rifulgevano come pure pietre d’ebano finemente intagliato. Nella impalpabile evanescenza di una dimensione che non conoscevo lasciai che la mia volontà fosse sua. Finalmente ero lì, dove avevo sempre desiderato essere. Tra le sue braccia. Sentii il suo respiro freddo sfiorarmi appena. Il suo corpo aveva il gelido sentore della morte, ma il suo tocco e la sua vicinanza erano vive. Quasi con reverenza le lunghe dita bianche sfiorarono il profilo del mio volto. Tremava. Parole che non riuscii a capire uscirono dalla sua bocca, che sfiorò appena la mia per poi scendere giù e affondare nel collo. Lì, era custodita l’essenza del patto eterno che avrebbe siglato con me. Lì, sotto l’eburnea pelle c’era il prezzo da pagare per seguirlo per sempre.
“Lascia che venga con te” gli sussurrai.
Ero pronta a tenere fede alla mia promessa. Ma lui, perché esitava? Dubitava ancora di me?
La fredda carezza delle sue labbra sul mio collo generò in me una trepidante attesa. Ansia e aspettativa nell’imminenza del dolore che sicuramente sarebbe arrivato.
Victor sollevò il capo, fissandomi negli occhi. Le sue mani carezzavano il mio volto con tenera sollecitudine. Il suo sguardo tradiva quella che interpretai come una terribile angoscia.
Un guizzo veloce e sentii il morso affondare in tutta la sua feroce veemenza nel mio collo. Il dolore iniziale si tramutò in una dolce agonia. Sentivo la mia essenza vitale fluire da me a lui. Affondai le dita frementi nelle sue spalle, nei lunghi capelli neri. Ogni spasmo mi avvicinava un po’ di più a lui. Non sentivo altro che l’assoluta assenza nell’ineluttabile approssimarsi dell’eternità.
Quando ne ebbe abbastanza del mio sangue, mi diede il suo. E io ne bevvi.
Fu allora che entrambi ci ritrovammo, dopo quella lontana notte del 2 novembre 1877, quando morimmo lontano dalla grazia e dal perdono di Dio.

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